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Dei dolori e delle pene - La transizione statunitense dallo stato assistenziale allo stato penitenziario.

La valutazione dei costi sociali e umani che il sistema di insicurezza sociale statunitense offre al mondo intero come modello non è tuttavia sufficiente. E' infatti necessario tenere nel dovuto conto il suo complemento socio-logico, ossia l'ipertrofico sviluppo delle istituzioni che suppliscono alle carenze di protezione sociale ["safety net"] dispiegando nelle regioni inferiori dello spazio sociale un reticolo poliziesco e penale ["dragnet"] dalle maglie sempre più strette e solide. Infatti, "all'atrofia deliberata dello stato sociale corrisponde l'ipertrofia dello stato penale": la miseria e il deperimento dell'uno hanno per effetto diretto e necessario lo sviluppo e l'insolente prosperità dell'altro. In particolare, cinque tendenze di fondo caratterizzano l'evoluzione della politica penale degli Stati uniti a partire dalla svolta nelle politiche sociali e razziali delineatasi alla fine degli anni settanta, come reazione alle domande di democraticizzazione avanzate dall'insubordinazione dei neri e dai movimenti che si erano sviluppati in seguito (studenti, opposizione alla guerra in Vietnam, donne, ecologisti, beneficiari delle sovvenzioni sociali) (7).

1. L espansione verticale del sistema.

La prima tendenza rimanda alla crescita esponenziale della popolazione detenuta nei tre comparti in cui si articola l'apparato carcerario americano: prigioni urbane o di contea, statali e federali. Durante gli anni sessanta, la demografia penitenziaria del paese si era progressivamente orientata al ribasso, tanto che nel 1975 il numero dei detenuti era sceso a 380 mila unità, al termine di una lenta ma regolare tendenza alla diminuzione della popolazione carceraria stimabile intorno all'1 percento annuo. In quel tempo, assai ampio era il dibattito sulla «decarcerizzazione» e le pene sostitutive, che avrebbero riservato la reclusione soltanto ai «casi pericolosi» (ossia al 10 o 15 percento dei criminali). Si arrivò persino a parlare di crepuscolo dell'istituzione carceraria. Il titolo di un libro, "A Nation without Prison", è assai eloquente nell'esprimere il clima utopistico che in quel tempo regnava fra i criminologi (8). In breve, tuttavia, la curva della popolazione carceraria si sarebbe invertita: dieci anni più tardi, le persone incarcerate raggiungevano la cifra di 740 mila, che aumentava a 1,5 milioni nel 1995, sfondando il tetto dei 2 milioni nel 1998, in forza di un tasso di crescita annua valutabile intorno all'8 percento (9). Per dare un'idea delle dimensioni del fenomeno, si potrebbe notare come la popolazione carceraria complessiva degli Stati uniti costituirebbe, per numero di abitanti, la quarta città del paese.
Il fatto che nel corso degli ultimi quindici anni la popolazione carceraria degli Stati uniti sia triplicata non ha precedenti in nessuna società democratica, tanto più che è avvenuto in un periodo caratterizzato da un andamento costante, e poi decrescente, della criminalità (10). Gli Stati uniti, infatti, si collocano decisamente al primo posto fra i paesi avanzati per quanto riguarda il tasso di carcerazione - che si aggirava nel 1997 intorno ai 650 detenuti ogni 100 mila abitanti - che risulta fra le sei e le dodici volte superiore a quello dei paesi dell'Unione europea. Trent'anni fa, la differenza era espressa da un rapporto tre a uno (confronta tabella 1). Solo la Russia, il cui tasso di carcerazione è raddoppiato dopo il crollo dell'impero sovietico attestandosi a 750/100 mila, è oggi in grado di contendere agli Stati uniti il titolo di campione del mondo della detenzione.

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Tabella 1. La carcerazione negli Stati uniti e nell'Unione europea (1997).

Paesi - Popolazione carceraria - Tassi ogni 100 mila abitanti.

Stati Uniti: 1.785.079 = 648.
Portogallo: 14.634 = 145.
Inghilterra-Galles: 68.124 = 120.
Spagna: 42.827 = 113.
Germania: 74.317 = 90.
Francia: 54.442 = 90.
Paesi Bassi: 13.618 = 87.
Italia: 49.477 = 86.
Austria: 6.946 = 86.
Belgio: 8.342 = 82.
Danimarca: 3.299 = 62.
Svezia: 5.221 = 59.
Grecia: 5.577 = 54.

Fonti: per gli Stati uniti, Bureau of Justice Statistics, "Prison and Jail Inmate at Mid-Year 1998", Government Printing Office, Washington, marzo 1999: per l'Unione europea, Pierre Tournier, "Statistiques pénales annuelles du Conseil de l'Europe, Enquête 1997", Conseil de l'Europe, Strasbourg 1999.
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[In California, in passato stato leader nel campo dell'educazione e della sanità e oggi pienamente riconvertito al pancarcerario, il numero dei detenuti nelle sole prigioni statali è passato da 17300 nel 1975 a 48300 nel 1985, raggiungendo quota 160 mila tredici anni dopo. Se a tale cifra si aggiungono gli «ospiti» degli altri penitenziari - come per esempio di quello della contea di Los Angeles, il più grande centro di detenzione del mondo, in grado di contenere 23 mila persone - si raggiunge la cifra enorme di 200 mila detenuti, ossia quattro volte la popolazione carceraria della Francia, in relazione a 33 milioni di abitanti. Nonostante nel corso degli anni ottanta il "Golden State" abbia dispiegato «il più grande programma di edilizia carceraria della storia» (secondo le parole del governatore), inaugurando nel corso di un decennio ventuno penitenziari, gli istituti di pena continuano a versare in uno stato di sovraffollamento allarmante, con presenze doppie rispetto a quanto previsto. Un recente rapporto dell'amministrazione penitenziaria, per esempio, paragona le condizioni di detenzione californiane a quelle che vigevano ad Attica prima della sanguinosa rivolta del 1972, che fece di quel nome il simbolo mondiale della brutalità carceraria].

La crescita esponenziale dei detenuti, in California come nel resto degli Stati uniti, può essere in gran parte spiegata con la stretta repressiva nei confronti della piccola delinquenza e dei tossicodipendenti. Le carceri americane, infatti, contrariamente a quanto sostiene la vulgata politico-mediatica dominante, sono piene zeppe non di criminali pericolosi e incalliti ma di piccoli delinquenti condannati per questioni di droga, taccheggio, furti o addirittura disturbo della quiete pubblica, provenienti in larga maggioranza dalle frazioni precarizzate della classe operaia, in particolare da famiglie del sottoproletariato di colore residenti nelle città maggiormente colpite dalla trasformazione congiunta del regime salariale e della protezione sociale. Nel 1998 il numero di condannati per reati "non-violenti" detenuti nelle carceri statunitensi ha varcato la soglia simbolica del milione. Nelle celle degli istituti penali di contea, sei «ospiti» su dieci sono neri o latinos; meno della metà al momento dell'arresto aveva un impiego a tempo pieno, mentre i due terzi proveniva da famiglie con reddito inferiore alla metà della «soglia di povertà».

2. L'estensione orizzontale del reticolo penale.

La «grande reclusione» che caratterizza la fine del secolo, tuttavia, da sola non esaurisce l'incredibile espansione dell'impero penale americano. In primo luogo, perché non tiene conto delle persone condannate che beneficiano della sospensione della pena ["probation"] e di quelle ammesse alla libertà condizionale ["parole"] dopo aver scontato la maggior parte della pena. In realtà, il numero di coloro che vengono tenuti nell'anticamera e nei dintorni della prigione è cresciuto in maniera ancora più rapida di quello di coloro che languono in cella. Ciò è dovuto in primo luogo alla concreta impossibilità, nonostante gli sforzi, di adeguare con sufficiente rapidità il parco carcerario al crescente afflusso di condannati, il cui numero nel corso degli ultimi sedici anni si è quadruplicato, per sfondare nel 1997 il tetto dei quattro milioni, di cui 3,26 milioni in "probation" e 685 mila in "parole". Di conseguenza, sarebbero oggi 5,7 milioni i cittadini statunitensi caduti «nelle grinfie della giustizia», una cifra che rappresenta circa il 5 percento sul totale degli uomini di età superiore ai diciotto anni, e un uomo di colore su cinque.
D'altra parte, è necessario rilevare come il sistema penale possa disporre non solo delle pene dette «intermedie», fra cui gli arresti domiciliari, l'affidamento a un centro di rieducazione ["boot camp"], la «messa alla prova intensiva» e la sorveglianza telefonica o elettronica (tramite braccialetti e altri dispositivi tecnologici), ma anche di un ampio ventaglio di strumenti di intervento, in particolare grazie alla proliferazione di apposite banche dati e alle possibilità di controllo a distanza a esse connesse. Durante gli anni settanta e ottanta - su spinta del Law Enforcement Administration Agency, organismo federale incaricato di potenziare la lotta alla criminalità, ormai diventata tema obbligato di ogni campagna elettorale - le polizie, i tribunali e l'amministrazione penitenziaria di tutti i cinquanta stati hanno predisposto l'attivazione di banche dati centralizzate e informatizzate, che in seguito sono proliferate un po' ovunque. Esistono oggi 55 milioni di «schede criminali» (contro i 35 milioni di dieci anni fa), risultato di un'inedita sinergia fra le funzioni di «cattura» e «osservazione» dell'apparato penale, che riguardano circa 35 milioni di individui, ossia circa un terzo della popolazione maschile del paese! (12). Hanno accesso a tali banche dati non solo le amministrazioni pubbliche, come l'F.B.I. e l'I.N.S. (a cui è delegata la polizia sugli stranieri) o i servizi sociali, ma anche, in alcuni casi, singoli cittadini o imprese private. Simili "rap sheet" sono spesso utilizzate dai datori di lavoro, per esempio, al fine di evitare l'assunzione di individui con precedenti penali. E poco importa se i dati a disposizione sono spesso imprecisi, datati, inutili, per non dire illegali. Inoltre, la loro circolazione espone alle attenzioni dell'apparato poliziesco e penale non solo i criminali e i semplici sospettati di qualche reato, ma anche le loro famiglie, i loro amici e vicini, il loro quartiere. Tanto più che una dozzina di stati, fra cui l'Illinois, la Florida e il Texas, tramite appositi siti internet hanno reso universale l'accesso a tali schedari, permettendo a chiunque, senza il minimo controllo, il vaglio della casella giudiziaria di un condannato.
Le tradizionali modalità di schedatura, tuttavia, basate su impronte digitali e fotografie, stanno per essere soppiantate dal rapido sviluppo della schedatura genetica. Nell'ottobre del 1998, l'F.B.I. ha ufficialmente attivato una banca dati nazionale contenente il profilo del D.N.A. di centinaia di migliaia di condannati, nella quale in seguito saranno riversati i campioni di saliva e sangue raccolti dalle varie amministrazioni penitenziarie. Nella primavera del 1999, rispondendo a una sollecitazione del capo della polizia di New York, sempre alla ricerca di nuovi gadget suscettibili di rafforzare l'immagine di Mecca dell'ordine pubblico della sua città, il ministro della Giustizia Janet Reno ha affidato a un gruppo di esperti, la National Commission on the Future of D.N.A. Evidence, lo studio della possibilità di estendere la schedatura genetica dei criminali condannati a tutte le persone arrestate, ossia a circa quindici milioni di cittadini ogni anno.
Un'ulteriore trasformazione, allo stesso tempo qualitativa e quantitativa, contribuisce in modo decisivo a stringere il laccio penale intorno alle frazioni della classe operaia destabilizzate dall'imporsi della precarietà salariale e dal declino delle garanzie sociali. Si tratta della tendenza a limitare il ricorso alla scarcerazione anticipata e a fare della libertà condizionata un dispositivo poliziesco volto a favorire non più il reinserimento sociale ma il ritorno in carcere degli ex detenuti, soggetti a una sorveglianza ossessiva e a una disciplina minuziosa quanto inutile (soprattutto attraverso l'espediente dei controlli settimanali sull'assunzione di droghe, che in diverse giurisdizioni rappresenta ormai l'attività principale del personale addetto al controllo dei fruitori delle misure alternative alla detenzione). In California, per esempio, il numero di ex detenuti in libertà condizionata rispediti dietro le sbarre è passato dai 2995 del 1980 ai 75400 del 1996, nella maggior parte dei casi (58 mila) in forza di una semplice revoca amministrativa dovuta alla non osservanza delle condizioni poste per l'ottenimento della libertà. Fra il 1985 e il 1997, la percentuale nazionale di "parole" che hanno superato il periodo di prova è sceso dal 70 al 44 percento (13). Il profondo cambiamento negli obiettivi e nei risultati su cui ci siamo soffermati testimonia dell'abbandono degli ideali di riabilitazione tipici degli anni settanta, a favore di una «nuova penalogia» volta non tanto alla prevenzione del crimine e alla riabilitazione dei delinquenti quanto a "isolare gruppi percepiti come pericolosi neutralizzandone i membri più distruttivi", attraverso un complesso standardizzato di comportamenti e una gestione stocastica dei rischi più prossima alla ricerca operativa o allo smaltimento dei «rifiuti umani» che al lavoro sociale propriamente detto (14).

3. L'avvento del big government carcerario.

La bulimia carceraria statunitense, come ovvio, si traduce in una spettacolare ipertrofia del settore penale in seno alle amministrazioni federali e locali. Si tratta di una tendenza particolarmente «strana» in quanto si afferma in un periodo di vacche magre per il settore pubblico. Fra il 1979 e il 1990 le spese penitenziarie dei diversi stati sono cresciute del 325 percento per i costi di funzionamento e del 612 percento per l'edilizia carceraria, ossia tre volte più dei crediti militari erogati a livello federale, peraltro enormemente cresciuti durante le presidenze di Ronald Reagan e George Bush. A partire dal 1992, ben quattro stati hanno stanziato più di un miliardo di dollari per le spese carcerarie: la California (3,2), lo stato di New York (2,1), il Texas (1,3) e la Florida (1,1). Complessivamente, nel 1993 le spese carcerarie hanno superato del 50 percento quelle per l'amministrazione giudiziaria (32 miliardi contro 21), mentre solo dieci anni prima i due budget erano identici. Inoltre, a partire dal 1985 i fondi stanziati per il funzionamento dell'istituzione penitenziaria hanno regolarmente sopravvanzato, come importo, sia la dotazione del principale programma di assistenza sociale, Aid to Families with Dependent Children (A.F.D.C.), sia la cifra destinata all'aiuto alimentare per le famiglie povere (Food Stamps).
Le strategie politiche volte a favorire l'espansione del settore penale, tuttavia, non sono certo monopolio del Partito repubblicano. Negli ultimi sei anni infatti, mentre Bill Clinton proclamava ai quattro angoli del paese la sua fierezza per aver posto fine all'era del "Big government", e la Commissione per la riforma dello stato federale, posta sotto l'egida del suo possibile successore Albert Gore junior, si impegnava con zelo a ridimensionare i programmi e gli impieghi pubblici, venivano costruite 213 nuove prigioni (una cifra peraltro che non tiene conto della proliferazione delle carceri private). Nello stesso periodo, il personale impiegato nei soli istituti di pena federali e statali passava da 264 mila a 347 mila (di cui 221 mila guardie carcerarie). Complessivamente, nel 1993 il «settore penitenziario» contava più di 600 mila addetti, proponendosi come il "terzo datore di lavoro del paese", subito dopo la General Motors, prima azienda al mondo per volume d'affari, e la catena internazionale di supermercati Wal-Mart (15). Stando a dati ufficiali, inoltre, la formazione e l'assunzione di guardie carcerarie rappresenterebbe il settore in cui, nel decennio passato, l'intervento pubblico è maggiormente cresciuto.

[Il budget dell'amministrazione penitenziaria della California fra il 1975 e il 1999 è balzato da meno di 200 milioni di dollari a più di 4,3 miliardi (non si tratta di un refuso, è aumentato del 2200 percento) e dal 1994 supera gli stanziamenti per le università pubbliche, un tempo fiore all'occhiello dello stato. Quando Ronald Reagan faceva il suo ingresso alla Casa bianca, in California le guardie carcerarie erano meno di 6000. Oggi sono più di 40 mila, cifra a cui è necessario aggiungere i 2700 "parole officiers" a cui spetta il controllo dei 107 mila condannati che usufruiscono della libertà vigilata. Nel 1980 il salario medio di una guardia carceraria si aggirava intorno ai 14400 dollari all'anno; oggi si attesta sui 55 mila dollari, una cifra del 30 percento superiore a quella percepita da un'assistente dell'università della California (UCLA). Nel corso di un decennio, inoltre, lo stato ha sborsato più di 5,3 miliardi di dollari e contratto debiti obbligazionari di un ammontare superiore ai dieci miliardi per costruire e rinnovare gli istituti penitenziari. Ogni nuovo carcere costa in media 200 milioni di dollari ogni 4000 detenuti, e richiede l'assunzione di 1000 guardie. Nello stesso periodo, le autorità politico-amministrative non sono riuscite a reperire i fondi necessari per un nuovo campus universitario, da tempo promesso per far fronte al continuo aumento degli studenti].

In un periodo di penuria fiscale, dovuta al forte abbassamento dei prelievi fiscali sulle imprese e sui redditi e capitali delle classi dominanti, l'incremento di budget e personale del comparto carcerario è stato reso possibile dal parallelo decremento dei trasferimenti a favore dell'assistenza sociale, della sanità e dell'educazione. Di conseguenza, mentre i crediti stanziati per il settore penitenziario fra il 1979 e il 1989 aumentavano del 95 percento (al netto dell'inflazione), il budget degli ospedali stagnava e quelli della scuola pubblica e dell'assistenza sociale diminuivano, rispettivamente del 2 e del 41 percento (16). Gli Stati Uniti hanno quindi deciso di costruire per i loro poveri non ambulatori, asili o scuole ma centri di reclusione. Per esempio, nell'arco di un decennio (1988-1998) lo stato di New York ha aumentato le proprie spese carcerarie del 76 percento, mentre i fondi destinati all'insegnamento universitario sono diminuiti del 29 percento. In termini generali, le cifre coincidono: 615 milioni di dollari in meno al campus della State University di New York e 761 milioni in più per le prigioni (che salgono a oltre un miliardo di dollari se si tiene conto dei 300 milioni stanziati separatamente come misura d'urgenza per la costruzione di 3100 posti-prigione supplementari) (17). Come in California, le curve che rappresentano l'andamento dei due budget si intersecano nel 1994, anno in cui avviene l'elezione del governatore repubblicano George Pataki che, oltre ad affrettarsi a ripristinare la pena di morte, procede immediatamente a un aumento delle tasse universitarie di settecentocinquanta dollari.
L'utilizzo della carcerazione di massa come strategia politica di «lotta contro la povertà» si rivela tuttavia un'impresa finanziaria assai impegnativa, per il continuo aumento e l'invecchiamento accelerato dei detenuti, nonché per gli enormi costi unitari di detenzione. In California, per esempio, ogni prigioniero costa 22 mila dollari all'anno, ossia 3,3 volte l'importo del sussidio A.F.D.C. versato a una famiglia di quattro persone. Per ridurre i costi, sono state utilizzate quattro strategie. In primo luogo, si è proceduto a un abbassamento delle condizioni di vita dei detenuti e a una riduzione dei servizi presenti nelle carceri, limitando o sopprimendo i presunti «privilegi» concessi agli «ospiti», per esempio l'insegnamento, lo sport, gli svaghi e in genere tutte le attività orientate verso il reinserimento (del resto già ridotti al lumicino, visto che ad essi era destinato meno del 5 percento del budget carcerario) (18). A ciò si aggiunga l'uso dell'innovazione tecnologica - video, informatica, biometria, telemedicina - per migliorare la produttività della sorveglianza. La terza strategia, da parte sua, mira al trasferimento di parte degli oneri della detenzione al carcerato stesso o alla sua famiglia. Già adesso, una ventina di stati e svariate decine di contee urbane «presentano il conto» della giornata di detenzione ai prigionieri, «fatturano» le spese amministrative, fanno pagare i pasti, impongono un pedaggio a chi deve recarsi in infermeria, conteggiano gli extra per l'accesso ai servizi offerti «dalla casa» (lavanderia, laboratorio, elettricità, telefono eccetera). In alcuni casi, gli ex detenuti sono trascinati davanti al tribunale per saldare il debito che hanno contratto durante la reclusione.
La quarta strategia, senza dubbio la più all'avanguardia, passa attraverso la reintroduzione massiccia del lavoro dequalificato all'interno delle prigioni. Il lavoro in carcere senza dubbio non rappresenta una novità, da tempo infatti grandi imprese statunitensi come Microsoft, T.W.A., Boeing e Konika vi fanno ricorso, anche se per evitare pubblicità negativa in genere ricorrono al tramite di ditte subappaltatrici (19). Le dimensioni del fenomeno attualmente sono ancora ridotte, esso riguarda solo un detenuto su dieci, soprattutto a causa dei severi vincoli legali che gravano sull'industria penitenziaria. Tuttavia alcune recenti proposte di legge si propongono proprio di eliminare quel tipo di lacciuoli. Numerosi sono infatti gli esperti che individuano nell'incremento del lavoro salariato carcerario una notevole chance economica. Se attraverso il cosiddetto «workfare» si impone ai poveri «in libertà» l'obbligo di lavorare, lo stesso deve valere per i poveri «dentro», ossia per i carcerati. Un'ulteriore modalità per attenuare i costi stratosferici della transizione dallo stato sociale allo stato penale consiste nell'estendere alla giustizia la stessa ideologia del mercato che presiede all'inasprimento delle condizioni d'accesso all'assistenza sociale. Si tratta allora di privatizzare la reclusione.

4. Rinascita e prosperità dell'impresa privata della carcerazione.

Negli Stati uniti, l'espansione senza precedenti delle attività carcerarie pubbliche si è accompagnata a uno sviluppo frenetico dell'impresa privata della detenzione che, sorta nel 1983, è ormai riuscita ad accaparrarsi quasi il 7 percento della popolazione carceraria (ossia 132 mila posti contro i soli 15 mila del 1990, confronta tabella 2). Forte di una crescita annua del 45 percento, il mercato manifesta la tendenza a triplicare il proprio volume d'affari nei prossimi cinque anni, raggiungendo un totale di 350 mila detenuti (ossia sette volte la popolazione carceraria francese). Diciassette aziende possiedono complessivamente centoquaranta istituti sparsi in una ventina di stati, in particolare in Texas, California, Florida, Colorado, Oklahoma e Tenessee. In alcuni casi i privati si limitano ad assumere la gestione di penitenziari già esistenti, ai quali forniscono il personale di sorveglianza e servizio. In altri, l'azienda offre la gamma completa dei beni e servizi necessari alla detenzione: progettazione architettonica, finanziamenti, costruzione, esercizio, amministrazione, assicurazione, personale e anche il reclutamento e il trasporto dei carcerati provenienti da altre giurisdizioni che affittano posti per collocarvi i propri condannati. Esiste infatti anche un fiorente mercato di import-export dei detenuti fra stati che hanno troppi carcerati e altri che dispongono di un'eccedenza di celle.

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Tabella 2. Disponibilità posti nelle carceri private statunitensi.

1983: 0.
1988: 4630.
1993: 32555.
1998: 132.572.
2001 (proiezione): 276.655.

Fonti: "Private Adult Correctional Facility Census", Twelth Edition, Centre for Studies Criminology and Law, University of Florida, Gainesville 1999.
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Dopo la quotazione in borsa di Corrections Corporations of America, Correctional Service Corporation, Securicor (con sede a Londra) e Wackenhut, l'industria carceraria si è imposta come uno dei vanti di Wall Street. Il mercato finanziario legato alle prigioni, pubbliche o private, si aggira infatti intorno ai quattro miliardi di dollari. E promette un avvenire ancora più florido: durante il solo 1996, sono iniziati i lavori per ventisei prigioni federali e novantasei penitenziari statali. La rivista «Corrections Building News», che offre puntuali ragguagli in materia, è diffusa in 12 mila copie. Ogni anno, l'American Correctional Association, organismo semiprivato fondato nel 1870 per promuovere il settore, riunisce professionisti e imprenditori della carcerazione in occasione di una «fiera della prigione» della durata di cinque giorni. Più di seicentocinquanta aziende hanno esposto i loro prodotti e servizi al Salone di Orlando, tenutosi nell'agosto 1997. Fra gli articoli in vetrina: manette imbottite, serrature e sbarre inattaccabili, mobilio da cella sul tipo brande ignifughe e blocchi toilette, prodotti cosmetici e alimentari, sedie immobilizzanti e «uniformi d'estrazione» (per tirar fuori dalla cella i detenuti recalcitranti), cinte elettrificate a scarica mortale, programmi di disintossicazione o di «riarmo morale» per giovani delinquenti, sistemi di sorveglianza elettronica e di telefonia "à la page", tecnologie di avvistamento e identificazione, programmi di trattamento dei dati amministrativi e giudiziari, gallerie di disinfestazione antitubercolosi, per non parlare delle celle smontabili (che si possono installare in mezza giornata in un qualsiasi spiazzo per far fronte a un afflusso imprevisto di detenuti) e delle prigioni chiavi in mano, e di un camion-ospedale per operare d'urgenza nel cortile del penitenziario.
La costruzione di nuove carceri si presenta non solo come un'occasione di profitto economico, ma anche come un rilevante strumento di pianificazione del territorio. Le zone rurali in declino, in particolare, sono disposte a tutto pur di avere un carcere: «Sono passati i tempi in cui la prospettiva di accogliere nel proprio territorio una prigione suscitava ampie proteste: "Not in my backyard". Le prigioni non utilizzano prodotti chimici, non fanno rumore, non inquinano l'aria e non licenziano i dipendenti nelle fasi di recessione» (20). Al contrario, portano impieghi stabili, commerci perenni ed entrate fiscali regolari. La carcerazione è un'industria prospera con davanti a sé un avvenire radioso. E lo stesso vale per tutto quanto è connesso alla grande reclusione dei poveri che attraversa gli Stati uniti.

5. La politica dell'affermative action carceraria.

L'iperinflazione carceraria ha prodotto l'estensione «laterale» del sistema penale e il decuplicarsi delle sue capacità di inquadramento e neutralizzazione. L'accresciuta capacità d'azione, tuttavia, si esercita soprattutto sulle famiglie dei quartieri diseredati, e in particolare sulle enclave nere delle metropoli. Lo testimonia la quinta tendenza chiave dell'evoluzione carceraria statunitense: l'«annerimento» continuo della popolazione detenuta, giunto ormai a un tale livello che, a partire dal 1989 e per la prima volta nella storia, gli afroamericani rappresentano la maggioranza fra i nuovi ingressi nelle prigioni di stato, pur essendo solo il 12 percento della popolazione complessiva del paese.
Nel 1995, i 22 milioni di adulti neri fornivano un contingente di 767 mila detenuti, 999 mila condannati in libertà vigilata e 325 mila in libertà con la condizionale. Complessivamente, il tasso di coloro che erano posti sotto la tutela della legge rispetto alla popolazione globale raggiungeva il 9,4 percento. Fra i bianchi, una stima al rialzo presenta un tasso del 1,9 percento (ossia di cinque volte inferiore) in rapporto a una popolazione di 163 milioni di adulti (21). Per quanto riguarda la carcerazione in senso stretto, lo scarto fra le due comunità è continuamente cresciuto durante gli ultimi decenni e si attesta oggi su una proporzione 1 contro 7,5: 528 contro 3544 ogni 100 mila adulti nel 1985, 919 contro 6926 dieci anni più tardi. Nel corso della sua vita, un maschio nero ha una probabilità su quattro di passare almeno un anno in prigione, un latino una su sei, un bianco una su ventitré.
La «sproporzione razziale», per utilizzare la pudica formula in voga presso i criminologi, è ancora più marcata fra i giovani, principale obiettivo della politica volta a ridurre la miseria a problema penale. In qualsiasi momento, più di un terzo dei neri fra i diciotto e ventinove anni sono incarcerati, sotto l'autorità di un giudice esecutivo o dei funzionari addetti al controllo dei detenuti in libertà condizionata, oppure in attesa di processo. Nelle grandi città, la sproporzione supera di norma la metà, con punte dell'80 percento nei ghetti. Di conseguenza, il funzionamento del sistema giudiziario americano può essere descritto, utilizzando un termine legato alla triste memoria della guerra del Vietnam, come una «missione di localizzazione e distruzione», «Search and Destroy», della gioventù nera (22).

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Tabella 3. Differenze nel tasso di carcerazione fra neri e bianchi (latinos inclusi).

Numero di detenuti ogni 100 mila adulti.

Neri: 3544 nel 1985 - 5365 nel 1990 - 6926 nel 1995.
Bianchi: 528 nel 1985 - 718 nel 1990 - 919 nel 1995.
Differenza: 3016 nel 1985 - 4647 nel 1990 - 6007 nel 1995.
Ratio: 6.7 nel 1985 - 7,4 nel 1990 - 7,5 nel 1995.

Fonti: Bureau of Justice Statistics, "Correctional Populations in the United States", Government Printing Office, Washington, 1997.
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In realtà, l'accrescimento rapido e continuo del divario fra bianchi e neri deriva non tanto da un'improvvisa divergenza della propensione a commettere reati degli uni e degli altri, quanto dal carattere strutturalmente discriminatorio delle pratiche poliziesche e giudiziarie condotte nel quadro della politica di "Law and Order" degli ultimi decenni. Ecco qualche prova: i neri pur essendo il 13 percento dei consumatori di droghe (cifra corrispondente al loro peso demografico) costituiscono un terzo degli arrestati e i tre quarti dei carcerati per violazioni della legge sugli stupefacenti. La «guerra alla droga», infatti, lanciata a tambur battente da Ronald Reagan ed esasperata dai suoi successori rappresenta - insieme all'abbandono dell'ideale della riabilitazione e alla moltiplicazione dei dispositivi ultrarepressivi (generalizzazione del regime a pena fissa, innalzamento della soglia di esecutività della pena, ergastolo automatico al terzo grave reato, accrescimento delle sanzioni per le violazioni dell'ordine pubblico) - uno dei fattori che hanno maggiormente contribuito all'esplosione della popolazione carceraria. Nel 1995, sei condannati per la prima volta su dieci erano messi sotto chiave per detenzione o commercio di droghe. La maggior parte di essi proveniva dai quartieri poveri afroamericani, per il semplice motivo che «è più facile procedere ad arresti in quartieri socialmente disastrati che nei quartieri operai stabili o nelle periferie abitate dai colletti bianchi» (23).
La carcerazione rappresenta quindi un ambito nel quale i neri beneficiano "de facto" di una «promozione differenziale», la qual cosa non può che apparire un'ironia della sorte, in una fase contraddistinta dall'abbandono dei programmi di "affirmative action" volti a ridurre le più evidenti ineguaglianze razziali nell'accesso all'educazione e al lavoro. Ne consegue che in numerosi stati, in quello di New York per esempio, fra i giovani di colore il numero dei detenuti è superiore a quello degli studenti iscritti ai campus delle università pubbliche (24). Il controllo punitivo dei giovani del ghetto attraverso l'apparato poliziesco e penale intensifica così la tutela paternalistica esercitata su di essi dai servizi sociali. Inoltre permette di sfruttare, e allo stesso tempo di alimentare, l'ostilità razziale latente e il disprezzo della povertà, componenti sempre utili dal punto di vista politico e mediatico (25).



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