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Dei dolori e delle pene - Il Pidgin scientifico della penalità neoliberale.

Gestazione e disseminazione, prima nazionale poi internazionale, a opera dei think tank americani e dei loro alleati operanti nel campo burocratico e mediatico, di termini, teorie e misure che si intrecciano fra loro per suggerire una risposta panpenalistica all'insicurezza sociale e alle sue conseguenze. Adozione di tale modello, parziale o integrale, più o meno consapevole, attraverso un lavoro di adattamento all'idioma culturale e alle tradizioni statali dei diversi paesi svolto dai funzionari responsabili della sua applicazione a specifici ambiti. Una terza operazione si aggiunge a tale sequenza, incrementando il traffico internazionale delle categorie della ragione neoliberale che ormai circolano a velocità vertiginosa da New York a Madrid, passando per Londra, Parigi, Bruxelles, Monaco e Milano. Si tratta della messa in forma scientifica.
Attraverso scambi, interventi e pubblicazioni di carattere universitario, vero o simulato, gli «scafisti» intellettuali riformulano le categorie chiave del discorso «sicuritario» in una sorta di "pidgin politologico" sufficientemente concreto per attrarre politici e giornalisti desiderosi di «toccare con mano la realtà» (così come la costruisce la visione autorizzata del mondo sociale), ma allo stesso tempo abbastanza astratto da adombrare gli elementi che con troppa evidenza rimandano al suo contesto d'origine. In tal modo, tali idee si trasformano in luoghi comuni semantici, adottati da tutti coloro che, a prescindere dalle frontiere e dall'attività svolta, dalle appartenenze, dalla nazionalità e dallo schieramento politico, aderiscono spontaneamente al modello ideale della società neoliberale avanzata.
Particolarmente eloquente, in proposito, si rivela l'opera di Sophie Body-Gendrot "Les villes face à l'insécurité. Des ghettos américains aux banlieues françaises", un caso esemplare di pseudoricerca su uno pseudo oggetto integralmente precostituito dal corrente senso comune politico-mediatico, a partire da dati spigolati da servizi giornalistici, sondaggi e pubblicazioni ufficiali e in seguito «autentificati», almeno agli occhi del lettore ingenuo, attraverso qualche rapida visita ai quartieri incriminati (nel senso letterale del termine). Già il titolo si presenta come una sorta di condensato prescrittivo della nuova "doxa" di stato sul rigore poliziesco e penale, visto come ineluttabile, urgente e utile (62). Una sola citazione può bastare: «La crescita inesorabile dei fenomeni di violenza urbana suscita perplessità in tutti gli specialisti. E' meglio percorrere la strada della 'stretta repressiva', della prevenzione o un mix di entrambe? Si devono colpire i sintomi o impegnarsi sulle cause profonde della violenza e della delinquenza? Secondo un sondaggio...». Troviamo qui riuniti tutti gli ingredienti di quella pseudoscienza politica che tanto piace ai tecnocrati dei ministeri e alle pagine dedicate ai dibattiti dei grandi quotidiani: un fatto dato per scontato di cui tuttavia è più che lecito dubitare («crescita inesorabile»), che tuttavia arriverebbe a turbare persino gli «specialisti» (non si dice quali, e non a caso); un concetto burocratico («violenza urbana») dal significato talmente incerto che ciascuno lo può riferire a ciò che meglio crede; un sondaggio che non dimostra altro che l'attività dell'istituto che lo ha prodotto; una serie di false alternative, corrispondenti a una logica d'intervento burocratico (repressione o prevenzione), fra le quali il ricercatore finge di dover scegliere, mentre la possibile soluzione è già chiaramente indicata dal modo in cui è posta la questione. Quanto segue, una sorta di catalogo dei luoghi comuni americani sulla Francia e francesi sull'America, permetterà "in fine" di presentare come «via mediana», conforme alla ragione (di stato), la deriva penale preconizzata dal governo socialista in carica per scongiurare il disastro. Come infatti recita la quarta di copertina «Bisogna fare in fretta, e reinvestire sui quartieri per impedire che le classi medie si orientino verso soluzioni politiche estremiste» (63). E si potrebbe aggiungere «reinvestire» in polizia e non in politiche volte a creare occupazione.

[L'analisi dettagliata e approfondita della produzione e dell'evoluzione dei dati sulla criminalità registrati dai servizi della polizia francese fra il 1974 e il 1997, effettuata dal maggior specialista transalpino, il criminologo Bruno Aubusson de Cavarlay, permette di «prendere le dovute distanze» dalle dichiarazioni catastrofiste dei politici e dai discorsi allarmistici, incessantemente riproposti da giornalisti incapaci di interpretare una statistica a cui fanno eco ricercatori che pretendono di dire la loro pur non essendosi mai seriamente interessati dei fenomeni in questione.
In termini quantitativi, la delinquenza minorile, in Francia, negli ultimi quindici anni è senza dubbio aumentata, in conformità, tuttavia, all'incremento generale delle infrazioni. Al di là di qualche leggera fluttuazione, la percentuale dei giovani fra gli autori di reati è tutto identica a quella del 1980, ossia il 18 percento (p. 271). Certo, fra il 1994 e il 1997, il numero dei reati accertati diminuisce costantemente mentre il numero dei minori coinvolti aumenta considerevolmente. La presunta «esplosione» della delinquenza giovanile registrata in quegli anni, tuttavia, altro non è che un artefatto costruito a partire dal confronto fra i due dati, senza tener conto del mutato atteggiamento della giustizia verso i giovani (p. 270). Lo stesso discorso vale per la crescente gravità delle infrazioni: lo spostamento verso reati violenti (vandalismi, lesioni volontarie, furti con violenza, stupri) riguarda la delinquenza nel suo complesso, e non solo i minori, ed è in parte spiegabile con la maggiore assistenza alle vittime dei reati, che facilita le denunce (specie in caso di stupro) (p.p. 275, 269). Per quanto riguarda le altre infrazioni, come il furto d'appartamento e d'auto o il taccheggio, per quanto riguarda i minori, le cifre assolute del 1996 sono addirittura inferiori a quelle del 1980 (p. 273).
Quanto alle cosiddette «inciviltà» minori (ingiurie, danni di scarsa entità o minacce), dal momento che non sono registrate nelle statistiche di polizia, risulta difficile sapere se oggi i giovani siano più inclini a commetterle che in passato. Di conseguenza, non si capisce quale elemento permetta di dare per scontato «un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani nelle infrazioni e nelle 'inciviltà'», così come afferma il primo ministro nella lettera che affida ai deputati Lezergues e Balduyck una missione sulle risposte alla delinquenza minorile (65). D'altra parte, la «diminuzione dell'età dei minori coinvolti in reati sempre più gravi e violenti», presentata da Lionel Jospin come un dato di fatto accertato e sufficiente a suscitare la richiesta urgente di una relazione parlamentare, è fondata solo su impressioni, supposizioni e timori, in quanto anche in questo caso «non esiste alcuna fonte statistica che permetta di misurare l'abbassamento di età e la maggiore precocità della delinquenza che emerge costantemente dalle testimonianze dirette» (p. 270) (66).
Al termine del suo esemplare esercizio di lettura statistica, Bruno Aubusson de Cavarlay conclude, con una fermezza improntata alla diplomazia che le statistiche non sono in grado né di infirmare, né di confermare «l'ipotesi dell'emergere di una nuova forma di delinquenza, tipica di certi minori (delinquenza detta 'di esclusione')». Inoltre, non autorizzano «la creazione di un nuovo gruppo di infrazioni, definito in maniera inaccorta 'violenza urbana', nel quale i minori sarebbero coinvolti in maniera preponderante» (p. 275). Tuttavia, è proprio questa «esplosione» della «violenza urbana» a motivare, o a servire da pretesto, al trattamento penale della miseria preconizzato da Lionel Jospin. E la stessa categoria di «violenza urbana», che si presenta come un "non-sense" statistico che mescola tutto e il contrario di tutto, viene agitata dal ministro della Giustizia per escludere dalle misure di limitazione della carcerazione provvisoria gli individui arrestati in flagranza di reato, ossia la metà delle carcerazioni preventive (40 mila all'anno), che come noto riguardano prevalentemente persone provenienti dalle classi subalterne e dai quartieri a rischio (67). Ciò significa che deputati considerati di sinistra sono giunti a inscrivere nella legge un forte «premio di carcerazione» riservato alle fasce sociali più deboli.
Quanto detto spinge a pensare che se i governanti si prendessero la briga di leggere le relazioni di studio che commissionano (è noto come l'attuale governo francese sia un insaziabile consumatore di quel genere di ricerche), eviterebbero al paese molti pseudodibattiti particolarmente nocivi. Infatti, chi può veramente credere che la carcerazione di qualche centinaio di giovani potrà avere qualche effetto sul vero problema, continuamente rimosso: l'aumento delle ineguaglianze e la generalizzazione della precarietà salariale e sociale conseguente alle politiche di deregolazione e di disimpegno dello stato dall'intervento economico e urbano].

Ritornando al volume di Sophie Body-Gendrot, si può notare che questa « americanologa» ben introdotta presso il ministero degli Interni (68), attraverso una proiezione incrociata degli stereotipi nazionali di Francia e Stati uniti, riesce ad applicare la mitologia americana del ghetto visto come luogo di derelizione (anziché come strumento di dominio razziale) (69) sui quartieri ad alta concentrazione di edilizia popolare del proprio paese d'origine, arricchendo la nozione amministrativa francese di «quartiere sensibile» con l'immagine dei ghetti di New York e Chicago. Ricorrendo a una continua oscillazione che si spaccia per analisi, in cui l'esempio degli Stati uniti è utilizzato non come un termine di comparazione - il che avrebbe mostrato che la presunta «crescita inesorabile» della «violenza urbana» è in primo luogo una tematica politico-mediatíca volta a facilitare la ridefinizione dei problemi sociali in termini di sicurezza (70) - ma, volta per volta, come spauracchio o modello da imitare, anche se con le dovute precauzioni. Agitando, in un primo momento, lo spettro della «convergenza», gli Stati uniti risultano utili per suscitare l'orrore - il ghetto, no qui da noi mai! - e drammatizzare il discorso, per poi meglio giustificare la stretta poliziesca su «interi quartieri». Infine, non resta altro che intonare il classico adagio tocquevilliano sull'iniziativa del cittadino, estendendolo in questo caso allo scenario globale (in quanto, grazie alla mondializzazione, «molti abitanti di tutto il pianeta hanno scoperto un'identità comune, quella di partigiani della democrazia»), per giustificare l'importazione in Francia delle tecniche locali di ordine pubblico statunitensi.
Al termine di una dissertazione rivolta agli studenti di scienze politiche in occasione di un incontro nel quale si sono affrontati temi quali «La città come laboratorio sociale», «I problemi della post-città» e, per apparire veramente scientifici, «La criminalità operativa in un mondo frattale» (il cui autore, senza ironia, afferma che «la sua relazione è ispirata alle teorie matematiche di Mandelbroit sui frattali») Sophie Body-Gendrot giunge a conclusioni che sembrano direttamente provenire da un "luncheon forum" del Manhattan Institute: nonostante l'«inerzia tipica della Francia», che rallenta notevolmente ogni «trasformazione di mentalità», «i governanti devono progressivamente arrendersi di fronte a un'evidenza: si deve sviluppare la gestione di prossimità dei problemi, le brigate di polizia per minori devono essere rafforzate, la formazione dei poliziotti incrementata, i genitori responsabilizzati penalmente» e «ogni atto delinquenziale dei minori deve essere sanzionato in maniera sistematica, rapida e leggibile» (71). Tale evidenza, ormai accettata a New York, Londra e Parigi, per effetto di imitazione si impone progressivamente anche nelle altre capitali europee. Anche la Svezia oggi si chiede se non sia il caso, per restare al passo con i paesi vicini, di adottare la «tolleranza zero».
Riassumendo, è possibile affermare che il volume di Sophie Body-Gendrot, "Les villes face à l'insécurité", giunge al momento giusto, per registrare la dismissione dello stato sociale (ed economico) e legittimare il rafforzamento dello stato penale nei quartieri, un tempo operai, sacrificati sull'altare della modernizzazione del capitalismo francese. Come la maggior parte del profluvio di opere recentemente pubblicate sul «senso d'insicurezza», l'«inciviltà» e la «violenza urbana», il libro in questione è parte integrante di quello stesso fenomeno che pretenderebbe spiegare. Anziché analizzarla, infatti, contribuisce alla costruzione politica di una penalità rafforzata e proattiva, volta a contenere i disordini provocati dalla generalizzazione della disoccupazione, del sottoimpiego e del lavoro precario.

Con l'espressione «Washington consensus» si è soliti designare il complesso di misure di «aggiustamento strutturale» imposte dai centri della finanza internazionale, come condizione per l'erogazione di fondi ai paesi indebitati (con i risultati disastrosi che si possono osservare in Asia e Russia) e, per estensione, le politiche economiche neoliberali che si sono imposte negli ultimi decenni in tutti i paesi a capitalismo avanzato: austerità budgettaria e regressione fiscale, compressione della spesa pubblica, privatizzazioni e rafforzamento dei diritti del capitale, liberalizzazione disinvolta dei mercati finanziari e degli scambi, flessibilizzazione del lavoro salariato e riduzione delle garanzie sociali (72). A ciò, è necessario aggiungere anche il trattamento punitivo dell'insicurezza e della marginalità sociale, che appaiono le logiche conseguenze di simili politiche. Evidentemente, così come nella Francia di metà anni ottanta i governi socialisti hanno svolto un ruolo determinante nella legittimazione internazionale della "sottomissione al mercato", allo stesso modo l'équipe di Lionel Jospin si trova in una posizione chiave per banalizzare, in una presunta versione «di sinistra», la gestione poliziesca e carceraria della miseria.

NOTE.


N. 1. Sulle condizioni sociali e i meccanismi culturali di diffusione di questa nuova vulgata planetaria, i cui termini feticcio sono ovunque «globalizzazione», «flessibilità», «multiculturalismo», «comunitarismo», «ghetto» e «underclass», o i loro cugini postmoderni «identità», «minoranza», «etnicità», «frammentazione» eccetera: P. Bourdieu, L. Wacquant, "Les ruses de la raison impérialiste", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 121-122, marzo 1998, p.p. 109-118.
N. 2. R. Debray, M. Gallo, J. Juillard, B. Kriegel, O. Mongin, M. Ozuf, A. Le Pors, P. Thibaud, "Républicains, n'ayons pas peur!", in «Le Monde», 4 settembre 1998, p. 13 (il numero e il diverso orientamento politico, vero o presunto, dei firmatari avava lo scopo di attribuire un'apparenza di neutralità e quindi di ragione alle posizioni sostenute).
N. 3. Si tratta tuttavia di paesi che possono avanzare la scusa (comoda) di avere livelli di violenza criminale simili a quelli degli Stati uniti e di essere direttamente soggetti alla tutela economica e diplomatica americana. Il Messico, per esempio, deve ogni anno prosternarsi davanti al Congresso degli Stati uniti per dimostrare di condurre con la dovuta energia la «guerra alla droga» ordinata dal «Grande fratello del Nord».
N. 4. L. Wacquant, "L'ascension de l'Etat pénal en Amérique", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 124, settembre 1998, p.p. 7-26, e 71 segg. per uno schema delle maggiori componenti del «boom carcerario» statunitense.
N. 5. Confronta per un'eccellente sintesi in proposito: S. Donziger, "Fear, Politics and Prison Industrial Complex", in "The Real War on Crime", Basic Books, New York 1996, p.p. 63-98.
N. 6. Si veda in particolare J. A. Smith, "The Idea Brokers. Think Tanks and the Rise of the New Policy Elite", The Free Press, New York 1991.
N. 7. C. Murray, "Losing Ground. American Social Policy 1950-1980", Basic Books, New York 1984.
N. 8. C. Lane, "The Manhattan Project", in «The New Republic», 25 marzo 1985, p.p. 14-15.
N. 9. Per una dettagliata confutazione dei contenuti dell'opera di Charles Munray, "Losing Ground", confronta W. J. Wilson, "Les oubliés de l'Amérique", Desclée de Brouwer, Paris 1995.
N. 10. G. Gilder, "Wealth and Poverty", Basic Books, New York 1981; Id., "Blessed are the Money-Makers", in «The Economist», 7 marzo 1981, p.p. 87-88. Un'ottima analisi dell'influenza esercitata del discorso antidiluviano sulla povertà, nonché dell'incapacità di contrastarlo manifestata negli anni ottanta dal punto di vista liberal (o progressista), in: M. B. Katz, "The Underserving Poor From the War on Poverty to the Waron Welfare", Pantheon, New York 1989, p.p. 137-184.
N. 11. C. Murray, "In Pursuit of Happines and Good Government", Simon and Schuster, New York 1988. Un decennio più tardi, Charles Murray, senza dubbio deluso dallo scarso successo incontrato dalla sua prima uscita filosofica, ricade nel peccato con un pamphlet dal titolo "What It Means to Be a Libertarian. A Personal Interpretation", Broadway Book, New York 1998.
N. 12. C. Murray, R Herrnstein, "The Bell Curve. Intelligence and Class Structure in American Life", Free Press, New York 1994, p.p. 167, 253, 251, 532-533. Per una critica estremamente severa di questo compendio di senso comune razzista e conservatore, condotta a partire da un'analisi (corretta) degli stessi dati empirici che conduce a conclusioni diametralmente opposte: C. Fischer et al., "Inequality by Design. Cracking the Bell Curve Mith", Princeton University Press, Princeton 1996. Il carattere puramente ideologico delle tesi sul crimine sostenute da Murray e Herrnstein emerge dalla seguente replica fondata su dati statistici: F. T. Cullen, P. Gendreau, G. R. Jarjoura, J. P. Wright, "Crime and the Bell Curve. Lessons from Intelligent Criminology", in «Crime and Delinquency», 43-44, ottobre 1997, p.p. 387-411.
N. 13. Tutti i resoconti dell'affermazione del Manhattan Institute sulla scena pubblica descrivono un Rudolph Giuliani intento a prendere appunti durante le conferenze e segnalano la presenza regolare dei suoi consiglieri agli incontri promossi dall'istituto. Lo stesso sindaco newyorkese ha riconosciuto pubblicamente a più riprese il suo debito nei confronti del Manhattan Institute.
N. 14. G. Kelling, C. Coles, "Fixing Broken Windows. Restoring Order and Reducing Crime in Our Communities", The Free Press, New York 1996. Il libro amplia e sviluppa gli spunti contenuti nel seguente articolo: J. Q. Wilson, G. Kelling, "Broken Windows. The Police of Neighborhood Safety", in «Atlantic Monthly», marzo 1982, p.p. 29-38. Se questa «teoria del buon senso» fosse effettivamente vera, è lecito chiedersi come mai siano stati necessari più di quindici anni per rendersene conto.
N. 15. W. Bratton, "Cutting Crime and Restoring Order. What America Can Learn from New York' Finest", in «Heritage Lecture», 573, Heritage Foundation, Washington 1996; Id., "The New York City Police Department's Civil Enforcement of Quality of Life Crimes", in «Journal of Law and Policy», 12, 1995, p.p. 447-464; Id., "Squeegees Rank High on Next Police Commissioner's Priority List", in «The New York Times», 4 dicembre 1993. Tony Blair e soprattutto il suo futuro ministro degli Interni Jack Straw riprenderanno qualche mese dopo negli stessi termini lo spauracchio "squeegee man".
N. 16. Per una presentazione critica dei tre modelli di «riforma della polizia» in competizione fra loro negli Stati uniti, a partire da un comune recupero «della tradizione poliziesca più repressiva»: J.-P. Brodeur, "La police en Amerique du Nord. Des modèles aux effets de mode?", in «Les cahiers de la sécurité intérieure», 28, 2, primavera 1997, p.182.
N. 17. "NYPD, Inc.", in «The Economist», 7925, 20 luglio 1995, p. 50, "The CEO cop", in «New Yorker Magazine, 70, 6 febbraio 1995, p.p. 45-54.
N. 18. "Citizen s Budget Commission, rapporto annuale, ottobre 1998.
N. 19. J. A. Green, "Zero Tolerance. A case Study of Police Policies and Practices in New York City", in «Crime and Delinquency», 45, 2, aprile 1999, p.p. 171-187.
N. 20. Il numero di omicidi a New York era già sceso nel 1994 della metà rispetto alle cifre record del 1990, passando da 2300 a meno di 1200. I reati contro il patrimonio, da parte loro, erano scesi del 25 percento. La stessa massiccia diminuzione della criminalità si osserva a partire dal 1990 anche in Canada, senza che possa essere chiamata in causa alcuna particolare innovazione poliziesca.
N. 21. W. W. Bratton, P. Knobler, "Turnaround. How America's Top Cop Reversed the Crime Epidemic", Random House, New York 1998. William Bratton ricevette un anticipo di 375 mila dollari per «scrivere» l'agiografia di se stesso «insieme» a Peter Knobler, un giornalista specializzato in biografie all'acqua di rose di star dello sport e della politica. Ha inoltre fondato un'azienda di consulenza sulla polizia urbana, First Security, che opera sia negli Stati uniti sia all'estero.
N. 22. Nel 1993, anno in cui Rudolph Giuliani diviene sindaco, New York si collocava già all'ottantasettesimo posto (su centottantasette città repertoriate in ordine decrescente) nella graduatoria sulla criminalità stilata dall'F.B.I. Oggi gravita intorno al centoquarantesimo posto.
N. 23. "Zero Tolerance will Clean up our Streets", in «Scottish Daily Record & Sunday Mail», 10 febbraio 1999. Sul tema della «responsabilizzazione» di cittadini e «comunità» (geografiche o etniche) nella lotta contro il crimine: D. Garland, "Les contradictions de la société punitive: le cas britanmque", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 124, settembre 1998, p.p. 56-59; A Crawford, "The Local Governance of Crime. Appeals to Community and Partnership", Clarendon Press, Oxford 1997.
N. 24. «I polacchi sono particolarmente attivi nel furto organizzato di auto; la prostituzione è controllata dalla mafia russa, i criminali legati al traffico di droga provengono soprattutto dall'Europa centro-orientale e dall'Afrca nera [...]. Non dobbiamo più essere timorosi nei confronti degli stranieri colti con le mani nel sacco. Per coloro che violano le nostre leggi dell'ospitalità non esiste che una soluzione: fuori e subito» (Gerhard Schroeder, frase pronunciata nel luglio 1997 durante una campagna elettorale, riportata da «Le Monde» il 28 gennaio 1999). Il caso della Germania è particolarmente interessante in quanto illustra un processo comune ai diversi paesi del continente europeo, ossia l'importazione delle teorie e delle politiche sicuritarie "made in Usa" direttamente dagli Stati uniti (confronta la tournée tedesca del 1998 di William Bratton) o per il tramite di qualche «sportello» dell'ideologia penale americana (confronta l'emulazione non priva di qualche invidia per l'Inghilterra di Tony Blair e l'interesse, forte e allo stesso tempo ambivalente, per la Milano di Gabriele Albertini).
N. 25. "Lawsuit Seeks to Curb Street Crimes Unit. Alleging Racially Biased Searches", in «The New York Times», 9 marzo 1999. Per un'analisi più sfumata della violenza políziesca di New York e delle sue basi sociali: P. Chevigny, "Edge of the Knife. Police Violence in the Americas", The New Press, New York 1995, cap. 2.
N. 26. "Those NYPD Blues", in «US News and World Report», 5 aprile 1999. Secondo i dati della polizia di New York, i controlli di strada volti a impedire la detenzione di armi danno luogo a ventinove arresti per ogni persona in possesso di armi, una percentuale nettamente superiore alla norma abituale (dieci arresti ogni persona armata).
N. 27. J. A Green, "Zero Tolerance. A Case Study of Policies and Practices in New York City", cit., p.p. 171-187.
N. 28. "Cop Rebellion against Safir. 400 Delegates Vote No Confidence. Demand Suspension", in «New York Daily News», 14 aprile 1999.
N. 29. "Poll in New York Finds many Think Police are Biased", in «The New York Times 16 marzo 1999.
N. 30. "Crackdown on Minor Offenses Swamps New York City Courts", in «The New York Times», 2 febbraio 1999.
N. 31. "Dismissed by Prosecutors before Reaching Court. Flawed Arrests Rise in New York City", in «The New York Times», 23 agosto 1999. Le cifre sulle entrate in carcere provengono dai rapporti annuali del New York City Department of Corrections, quelle sugli arresti da un rapporto della New York State Division of Criminal Justice.
N. 32. Malcolm Freeley ha mostrato come per gli americani appartenenti alle classi subalterne che commettono crimini e delitti minori l'autentica sanzione penale sia rappresentata più dalla procedura giudiziaria, attraverso il trattamento arrogante e caotico che subiscono nei tribunali e i costi connessi (economici, sociali e morali), che dalla sanzione legale (M. Freeley, "The Process is the Punishment. Handling Cases in a Lower Criminal Court", Russel Sage Foundation. Neu York 1979, in particolare p.p. 199-243).
N. 33. K. Dixon, "Les évangélistes du marché", Editions Raisons d'agir, Paris 1998. Oggi è necessario tenere conto anche dell'istituto Demos, think tank ufficiale dell'équipe di Tony Blair, che sostiene tesi analoghe se non addirittura identiche.
N. 34. C. Murray, "The Emerging British Underclass", Institute of Economic Affairs, London 1990, p.p. 41, 45.
N. 35. F. Field, "Britain's Underclass. Countering the Growth", in "The Emerging British Underclass", cit., p.p. 58, 59.
N. 36. R. Lister, a cura di, "Charles Murray and the Underclass. The Developping Debate", Institute for Economic Affairs, London 1996. Si possono facilmente notare le analogie con il lamento di Debray, Gallo, Juillard eccetera («Repubblicani, non dobbiamo avere paura!», secondo il quale il lassismo penale rappresenterebbe una minaccia per la Repubblica. La retorica di Charles Murray si basa su un'opposizione dicotomica fra i «nuovi vittoriani» (termine utilizzato per indicare le classi medie e superiori che riscoprono le virtù del lavoro, dell'astinenza e della famiglia patriarcale) e la «nuova plebaglia» ["the new rabble"] dei bassifondi, invischiata nella promiscuità, nel rifiuto del lavoro (sottopagato) e nel crimine. Simili sciocchezze sociologiche versione americano-britannica di certi discorsi francesi sulla «frattura sociale», sono riprese tali e quali dal «Sunday Times» e altri quotidiani inglesi. Si veda, per esempio: "Britain Split as Underclass Take Root alongside «New Victorians»", in «The Sunday Times», 22 maggio 1994.
N. 37. L. Mead, a cura di, "From Welfare to Work Lessons from America", Institute of Economic Affairs, London 1997. Già il titolo è sufficientemente eloquente.
N. 38. L. Mead, "Beyond Entitlement. The Social Obligations of Citizenship", Free Press, New York 1986, p. 13, 200, 87.
N. 39. L. Mead, "The New Politic of Poverty. The Nonworking Poor in America", Basic Books, New York 1992, p.p. 239 segg. Per una serrata critica dei paralogismi di Lawrence Mead: M. B. Katz, "The Poverty Debate", in «Dissent», autunno 1992, p.p. 548-553.
N. 40. L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches to Poverty", Brookings Institute Press, Washington 1997, p.p. 21-22.
N. 41. La prefazione del libro, firmata da Michael Armacost, presidente della Brookings Institutions, il think tank sedicente «progressista» (è assai vicino ai New Democratics) che ha finanziato e pubblicato la ricerca, si apre con le seguenti affermazioni, che la dicono lunga sull'integrazione delle politiche sociali e penali rivolte al (sotto)proletariato: «La politica sociale degli Stati uniti sta diventando più paternalista. Tradizionalmente, i programmi sociali fornivano un aiuto alle persone, in tempi recenti lo stato si è impegnato a supervisionare la vita dei poveri che dipendono da quei programmi, "per il tramite sia dell'assistenza sociale, sia del sistema della giustizia criminale"» (M. Armacost, "Preface", in L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches to Poverty", cit., p. VII, corsivo di L.W.).
N. 42. L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches to Poverty", cit., p. 22. Per una critica sferzante di questa mitologia personale del carattere razziale «misto» delle classi povere: D. Massey, N. Denton, "American Apartheid", Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1993.
N. 43. Frank Field aveva anticipato la sua adesione alle tematiche di Charles Murray e Lawrence Mead nel suo libro "Losing Out. The Emergence of Britain's Underclass", Basil Blackwell, Oxford 1989, il cui titolo richiama esplicitamente il "Losing Ground" di Murray.
N. 44. L. Mead, a cura di, "From Welfare to Work. Lessons from America", cit., p. 127.
N. 45. L. Mead, "The Debate on Poverty and Human Nature", in S. Carlson-Thies, J. Skillen, a cura di, "Welfare in America. Christian Perspectives on a Policy in Crisis", William Eerdmans Publishing, Cambridge (Mass.) 1996, p.p. 215-216, 238, 241.
N. 46. Come nel 1989 e nel 1994, il «Sunday Times» dedica diverse pagine a un lungo articolo diviso in due parti di Charles Murray, attribuendo alle opinioni del «visitatore d'America» una visibilità nazionale di cui nessun specialista britannico di questioni criminali ha mai beneficiato. E ciò nonostante le posizioni semplicistiche (ed erronee) di Murray non si fondino su alcuna ricerca originale e si presentino come un riciclo di noti lavori dei principali criminologi ultraconservatori come James Q. Wilson e John DiIulio. Si ha quindi a che fare con un vero e proprio lavoro di marketing ideologico volto a far passare lucciole conservatrici per lanterne sociologiche.
N. 47. C. Murray, a cura di, "Does Prison Work?", Institut for Economic Affairs, London 1997, p. 26.
N. 48. D. Downes, "Toughing it Out. From Labour Opposition to Labour Government", in «Policy Studies», 19, 3-4, inverno 1998, p.p. 191-198.
N. 49. N. Dennis et al., "Zero Tolerance. Policing a Free Society", Institut for Economic Affairs, London 1997. La dichiarazione di Tony Blair è riportata da «The Guardian» del 10 aprile 1997 (ringrazio Richard Sparks, professore di criminologia all'università di Keele, Staffordshire, per le preziose informazioni che mi ha fornito su tali sviluppi).
N. 50. In «Times Literary Supplement», 4919, 11 luglio 1997, p. 25. Nello stesso articolo si reclamizza anche un libro dal titolo" Arming the British Police".
N. 51. In occasione del convegno di Villepinte sul tema «Città sicure per cittadini liberi», organizzato dal governo di Lionel Jospin, il ministro degli Interni Jean-Pierre Chevènement tracciava un audace parallelo tra la politica dell'istruzione e quella dell'ordine pubblico: «Lasciando vagare l'immaginazione, mi piace pensare, sull'esempio del piano Università 2000, a un piano quinquennale Sicurezza di prossimità 2002, volto ad accelerare la costruzione dei commissariati di prossimità nei quartieri a rischio» (Atti del convegno, disponibili sul sito Internet del ministero degli Interni).
N. 52. Le espressioni fra virgolette sono di Beaumont e Tocqueville: "Système pénitentiaire aux Etats-Unis et son application en France", in Alexis de Tocqueville, "Oeuvres complètes", IV, "Ecrits sur le système pénitentiaire en France et à l'étranger", Gallimard, Paris 1984, p. 11.
N. 53. Per fare un esempio, nell'attuale congiuntura politica francese (inizi 1999), lo scopo è quello di attirare gli elettori del Front national, in particolare coloro che sono rimasti disorientati dalla scissione del partito. Così può essere interpretata l'improvvisa accelerazione delle misure annunciate dal governo Jospin allo scopo di «ristabilire» l'ordine «repubblicano» e «riconquistare» le "banlieues". E anche la fulminea svolta del primo ministro in favore di un giro di vite penale nei confronti della delinquenza giovanile, trasformata dall'oggi al domani in priorità dell'azione pubblica, mentre un esame rigoroso e disaggregato dei dati statistici disponibili, pubblicati in un'apposita relazione indirizzata al governo (che evidentemente né gli autori né i committenti si sono presi la briga di leggere attentamente), dimostra che contrariamente a quanto affermato dal battage mediatico, non si è verificato alcun aggravamento della situazione (confronta l'appendice statistica del criminologo Bruno Aubusson de Cavarlay, in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence des mineurs. Mission interministérielle sur la prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", La documentation française, Pans 1998, p.p. 263-291; B. Aubusson de Cavarlay, "La mesure de la délinquence juvénile", Cesdip, Paris 1998).
N. 54. S. Body-Gendrot, N. Le Guennec, M. Herrou, "Mission sur les violences urbaines. Rapport au Ministre de l'intérieur", La documentation française, Paris 1998; sull'invenzione burocratica della categoria di «violenza urbana», vista come strumento di riconversione e legittimazione del lavoro di sorveglianza poliziesco: V. Laurent, "Les renseignements généraux à la découverte des quarizers", in «Le Monde diplomatique», 541, aprile 1999, p.p. 26-27.
N. 55. C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence des mineurs. Mission interministérielle sur la prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", cit., p.p. 433-436.
N. 56. Fra i vari studi quantitativi: W. Ruefle, K. M. Reynolds, "Curefews and Delinquency in MajorAmerican Cities", in «Crime and Delinquency», 41, 3, luglio 1995, p.p. 347-363.
N. 57. J. Damon, recensione a W. Bratton, P. Knobler, "Turnaround. How America's Top Cop Reversed the Crime Epidemic", in «Les cahiers de la sécurité intérieure», 34, 1998, p.p. 263-265. Per un'analisi corrosiva del «tecnocratismo autoritario e razzista» di cui la similautobiografia di William Bratton è un'espressione: H. Otner, A. Pilgram, H. Steinert, a cura di, "Die Null-Lösung. Zero-Tolerance-Politik in New York: Das Ende der urbanen Toleranz?", Nomos Verlag, Baden Baden 1998.
N. 58. In un'opera scritta in collaborazione con un ex ministro dell'Educazione di Ronald Reagan, dal titolo (e dalla retorica militarista) sensazionalista: W. J. Bennet, J. DiIulio, J. P. Walters, "Body Count. Moral Poverty... and How to Win Americas War against Crime and Drugs", Simon and Schuster, New York 1996.
N. 59. S. Roché, "Tolérance zéro: est-elle applicable en France?", in «Les cahiers de la sécurité intérieure», 34, 3, inverno 1998, p.p. 217, 222, 225, 227 (corsivi di L.W.).
N. 60. A. Bauer, X. Raufer, "Violences et insécurités urbaines", Presses Universitaires de France, nuova edizione, Paris 1999, p.p. 62-65 (corsivo nell'originale). Ringrazio l'associazione Citoyens Unis pour Chatenay-Malabry per avermi segnalato i passaggi più significativi dell'opera.
N. 61. Institut des hautes études de la sécunté intérieure, "Guide pratique pour les contrats locaux de sécurité", La documentation française, Paris 1997, p.p. 133-134.
N. 62. S. Body-Gendrot, "Les villes face à l'msécurité. Des ghettos américains aux banlieues françaises", Bayard, Paris 1998. Come tipico del genere, il libro unisce ricerca scientifica (volta a garantire autorevolezza) e reportage giornalistico (per rendersi accessibili ai media), come testimonia il carattere assai vanegato dei riferimenti, che vanno da Jean Baudrillard a William Julius Wilson, dagli articoli di «Science» a quelli dell'«International Herald Tribune», dalle interviste ai giudici agli editoriali di «Le Nouvel Observateur» e ai pamphlet degli ex ministri di Ronald Reagan.
N. 63. Il comunicato stampa diramato dall'editore Bayard in occasione dell'uscita del libro pone il problema in termini ancora più netti: «Fra le "banlieues" francesi e i ghetti americani "esistono molte affinità": crescita della delinquenza minorile, droga, scontri fra bande ecc. Di conseguenza sorge spontanea una domanda: le massicce politiche di carcerazione condotte con successo negli Stati uniti possono essere applicate anche in Francia?» (corsivo di L. W.).
N. 64. Le indicazioni di pagina rimandano a B. Aubusson de Cavarlay, "Statistiques", in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence des mineurs. Mission interminestérielle sur la prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", cit, p.p. 263-291.
N. 65. L. Jospin, "Lettre de mission", in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence des mineurs. Mission interminestérielle sur la prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", cit, p. 9.
N. 66. La totale assenza di dati statistici sul fenomeno non impedisce all'editorialista di «Libération» (7 gennaio 19991 di scrivere con grande sicurezza: «La situazione che si è venuta a creare è senza precedenti, per la percentuale dei giovani coinvolti, per il grado di violenza che manifestano, ma anche per l'estrema precocità del passaggio all'atto».
N. 67. "La loi Guigou adoptée en première lecture", in «Libération», 27-28 marzo 1999.
N. 68. Jean-Pierre Chèvenement le aveva precedentemente commissionato un «Rapporto sulle violenze urbane», mentre la delegazione interministeriale sulla città ha finanziato una «missione» di qualche settimana, che ha permesso alla studiosa di «vivere alcune esperienze sul campo in quartieri degradati» degli Stati uniti (S. Body-Gendrot, "Les villes face à l'insécurité. Des ghettos américains aux banileues françaises", cit., p. 14).
N. 69. L. Wacquant, "«A Black City Within the White». Rivisiting America's Dark Ghetto", in «Black Renaissance - Renaissance Noire», 2, 1, autunno-inverno 1998, p.p. 141-151.
N. 70. In proposito, si veda il persuasivo studio: K. Beckett, "Making Crime Pay. Law and Order in Contemporary American Politics", Oxford University Press, Oxford 1997.
N. 71. S. Body-Gendrot, "Les villes face à l'insecurité. Des ghettos américains aux banlieues françaises", cit., p.p. 346, 332, 320-321 (corsivi di L. W.). Il libro si chiude con uno slancio a dir poco commovente: «Se la polizia si metterà al servizio dei cittadini, se la scuola diverrà un luogo della vita di quartiere, se i politici svilupperanno innovazioni civiche, se la lotta contro la delinquenza coinvolgerà i residenti, allora nella città si disegnerà un nuovo orizzonte. Detto altrimenti, quando la città, e la vita, sarà bella, allora sarà veramente bella.» (Un analogo paragrafo appare nelle "Monographies de terrain à l'étranger" che danno lustro al rapporto ufficiale della "Mission sur les violences urbaines", cit., p. 136).
N. 72. Sulla costruzione del concetto di "Washington consensus" all`intersezione dei campi universitario e burocratico: Y. Dezalay, B. Garth, "Le «Washington consensus»: contribution à une sociologie de l'hégémonie du néo-liberalisme", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 121-122, marzo 1998, p.p. 2-22.



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