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Dei dolori e delle pene PARTE TERZA: CONCLUSIONI.


1.
Ogni istituzione sociale esige ufficialmente dai suoi partecipanti ciò che le spetta. Anche quando non c'è un compito specifico, come nel caso dei guardiani notturni, l'organizzazione richiederà una presenza attiva, una conoscenza della situazione e una certa prontezza verso eventi imprevisti; nella misura in cui i suoi partecipanti non dormono sul lavoro, l'organizzazione esige che essi siano sensibili a certe questioni; quando invece il dormire è incluso nel far parte della istituzione, come in una casa o in un albergo, ci saranno allora limiti su dove e quando si deve dormire, con chi e quale comportamento si debba avere a letto (169). Al di là di queste imposizioni grandi o piccole che l'organizzazione fa sull'individuo, coloro che la dirigono avranno un concetto implicitamente totalizzante di ciò che deve essere il suo carattere, perché queste pretese organizzative gli risultino consone.
Ogni qualvolta prendiamo in esame un'organizzazione sociale, troviamo esattamente il contrario: coloro che ne fanno parte rifiutano in qualche modo di accettare il giudizio ufficiale di ciò che dovrebbero dare e prendere dall'organizzazione e, oltre a ciò, il tipo di sé e di mondo che dovrebbero accettare come proprio. Dove si esigerà entusiasmo ci sarà apatia, dove lealtà, slealtà, dove presenza assenza, dove sarà necessario un certo grado di salute ci sarà qualche tipo di malattia, dove saranno richieste azioni, ci saranno forme diverse di inattività. Troviamo una serie di piccole semplici storie, ognuna delle quali è un movimento di libertà. Su qualsiasi mondo si fondino, si sviluppano sempre delle forme di vita sotterranea.

2.
Lo studio della vita sotterranea nelle istituzioni totali di tipo restrittivo ha un interesse particolare. Dove l'esistenza è scarnificata fino all'osso, possiamo vedere ciò che le persone fanno per sopravvivere. Nascondigli, mezzi di trasporto, luoghi liberi, territori, rifornimenti per scambi economico-sociali, queste sono evidentemente alcune delle minime esigenze per costruirsi una vita. Di solito, questi adattamenti sono presi per garantiti, come parte del proprio adattamento primario, ma vedendole trapelare da una forma di vita pubblica, attraverso baratti, intelligenza, forza e astuzia, possiamo scoprirne un nuovo significato. Lo studio delle istituzioni totali ci dice anche che nelle organizzazioni formali ci sono zone vulnerabili standardizzate, come le stanze per le provviste, le infermerie, cucine o reparti per lavoro altamente tecnico. Questi sono angoli fertili, dove gli adattamenti secondari si sviluppano e incominciano ad infestare l'istituzione.
L'ospedale psichiatrico rappresenta uno strano esempio di quelle organizzazioni nelle quali è probabile che la vita sotterranea proliferi. I pazienti mentali sono persone che hanno causato nel mondo esterno, un tipo di guai che portano qualcuno, ad essi vicino - fisicamente se non socialmente - ad intraprendere un'azione psichiatrica contro di loro. Spesso il guaio risulta legato al fatto che il «predegente» si era già lasciato andare a qualche scorrettezza in particolari circostanze: un comportamento anomalo rispetto al sistema. t questo tipo di «cattiva condotta» che comporta un disprezzo morale delle comunità, delle istituzioni e dei rapporti che avrebbero diritto ad un legame affettivo.
Lo stigma di malato mentale e il ricovero coatto sono i mezzi con i quali rispondiamo a queste offese contro la correttezza. Il persistere dell'individuo nel manifestare i propri sintomi, dopo essere entrato nell'ospedale, e la sua tendenza a sviluppare altri sintomi attraverso le sue risposte reattive all'ospedale, non possono più servirgli come espressioni di disaffezione. Dal punto di vista del paziente, rifiutare di scambiare una parola con lo staff o con i compagni, può essere l'evidenza del suo rifiuto del giudizio istituzionale su ciò che è e su chi è, tuttavia la direzione può vedere in questa espressione alienata, il tipo di sintomatologia per la quale è stata costruita l'istituzione, e la migliore evidenza del fatto che il paziente è proprio di pertinenza dell'istituzione in cui si trova. In breve, il ricovero psichiatrico riesce ad avere la meglio sul paziente, derubandolo delle comuni espressioni per mezzo delle quali le persone si sottraggono al potere delle organizzazioni - insolenza, silenzio, osservazioni sottovoce, mancata collaborazione, distruzione intenzionale dell'arredamento interno, e così via - questi segni di rifiuto del fatto di essere affiliati all'istituzione, sono ora segni dell'affiliazione di colui che li mette in atto. In queste condizioni, tutti gli adattamenti sono primari.
Si tratta qui di un circolo vizioso. Le persone che vengono assegnate ai reparti «peggiori», si trovano a poter disporre di una scarsa attrezzatura, a tutti i livelli: i vestiti possono venir ritirati alla sera, il materiale ricreativo può venir rifiutato, il mobilio è costituito solo di pesanti sedie di legno e panche. Gli atti di ostilità contro l'istituzione devono quindi fondarsi su strumenti limitati, inadatti, come sbattere una sedia sul pavimento, o spaccare un foglio di giornale in modo da provocare un suono improvviso e irritante. Più questi strumenti sono inadeguati a rappresentare un rifiuto dell'ospedale, più l'atto appare come un sintomo psicotico, e più è probabile che la direzione si senta giustificata ad assegnare il paziente ad un reparto «peggiore». Quando un paziente si trova in isolamento, nudo e senza mezzi accessibili di espressione, potrebbe trovarsi a doversi esprimere solo facendo a pezzi il materasso, se gli riesce, o scrivendo con le feci sul muro azioni queste che la direzione ritiene caratteristiche del tipo di malato cui si assicura l'isolamento.
Possiamo vedere questo stesso processo circolare in atto nei piccoli beni illeciti (tipo talismano) che gli internati usano come mezzo simbolico per astrarsi dalla condizione nella quale si suppone siano. Ne è un esempio, credo tipico, lo stralcio che qui cito dalla letteratura delle prigioni:

"I vestiti delle carceri sono anonimi. Le proprietà personali sono limitate ad uno spazzolino da denti, un pettine, il sopra o il sotto della cuccetta, mezzo posto su un tavolino, un rasoio. Come in galera, il bisogno di collezionare proprietà è portato ad un vero eccesso. Sassi, corde, coltelli - ogni cosa fatta dall'uomo e proibita nell'istituzione dell'uomo - qualsiasi cosa - un pettine rosso, un diverso tipo di spazzolino da denti, una cintura - questi sono oggetti assiduamente raccolti, gelosamente nascosti e trionfalmente mostrati" (170).

Ma quando un paziente, i cui vestiti sono portati via ogni sera si riempie le tasche con pezzi di corda, carta arrotolata, e lotta, malgrado la noia che ne deriva per coloro che devono regolarmente frugargli le tasche, per tenere per sé queste sue proprietà, viene usualmente visto come impegnato in un comportamento sintomatico, tipico di un paziente molto ammalato, non come colui che sta solo tentando di allontanarsi dalla condizione che gli è stata accordata.
La psichiatria ufficiale tende a definire questi atti come atti psicotici - dato che questo punto di vista è rafforzato da processi circolari che portano il paziente ad esprimere l'alienazione in una forma sempre più bizzarra - ma l'ospedale non può essere diretto in base a questa teoria. L'ospedale non può evitare di richiedere ai suoi membri esattamente ciò su cui le altre organizzazioni devono insistere; la psichiatria è abbastanza elastica per farlo, ma le istituzioni non lo sono. Dati i modelli della società esterna all'istituzione, vi deve essere all'interno almeno il minimo necessario per quanto riguarda il cibo, la pulizia, il vestiario, la condizione dei pazienti, e la loro protezione da danni fisici. Date queste possibilità quotidiane, ci devono essere incentivi ed esortazioni perché i degenti le seguano. Devono essere fatte richieste, e si deve mostrare delusione quando il paziente non fa ciò che ci si aspetta da lui. L'interesse nel seguire un «movimento» o un «miglioramento» psichiatrico dopo una stasi iniziale nel reparto, porta lo staff ad incoraggiare una condotta «corretta» e ad esprimere un certo disappunto quando un paziente slitta nella «psicosi». Il paziente è quindi riconfermato come qualcuno da cui gli altri dipendono, qualcuno che dovrebbe sapere di dover agire correttamente. Alcune sconvenienze, come il mutacismo e l'apatia che non ostruiscono, semmai facilitano la vita di routine del reparto, possono continuare ad essere considerate naturalisticamente come sintomi; ma l'ospedale nel suo insieme opera semiufficialmente sul presupposto che il paziente dovrebbe essere docile, rispettoso della psichiatria, e che colui che lo sarà, sarà premiato con un miglioramento delle condizioni di vita, così come il trasgressore sarà punito con una riduzione delle facilitazioni. Su questa reintegrazione semiufficiale delle pratiche organizzative usuali, il paziente trova che molti mezzi tradizionali per astrarsi da un luogo, senza allontanarsene, hanno conservato la loro validità; in questo senso gli adattamenti secondari sono possibili.

3.
Dei molti tipi di adattamenti secondari, alcuni sono di particolare interesse, poiché mettono in chiaro il tema generale del coinvolgimento e delle alienazioni caratteristiche di queste pratiche.
Uno di questi particolari tipi di adattamento secondario è l'«attività di rimozione» o i «kicks», attività che forniscono all'individuo qualcosa in cui perdersi, cancellando temporaneamente ogni percezione di ciò che gli sta attorno e dove deve vivere. Nelle istituzioni totali, un caso esemplare molto utile, è quello di Robert Stroud «l'uomo uccello» il quale, guardando dalla finestra della sua cella gli uccelli, attraverso uno spettacolare insieme di strumenti ottenuti con sotterfugi e fatti da sé, si fabbricò un laboratorio, e divenne un importantissimo ornitologo che ha contribuito alla letteratura medica; il tutto dall'interno di una prigione (171). I corsi di lingua nei campi per prigionieri di guerra e i corsi d'arte nelle carceri, possono fornire un esempio analogo (172).
L'Ospedale Centrale provvedeva alcuni «mezzi di fuga» per gli internati (173). Uno, per esempio, era lo sport. Alcuni giocatori di baseball ed alcuni giocatori di tennis sembravano venir presi nel loro sport e nel risultato quotidiano delle loro fatiche a tal punto che, almeno per l'estate, esso risultava il loro principale interesse. Nel caso del baseball, la cosa era anche accentuata dal fatto che nell'ospedale i pazienti con libertà di circolare potevano seguire le partite nazionali, così come chiunque nel mondo esterno. Per alcuni giovani degenti, che non mancavano mai di andare, quando potevano, al ballo tenuto nel loro dipartimento o nel centro sociale, era possibile continuare a vivere, con la speranza di incontrare qualche persona «interessante», o di rincontrare la persona interessante che avevano già incontrato - così come gli studenti universitari riescono a sopravvivere ai loro studi attraverso la ricerca di nuovi «appuntamenti» cui dedicarsi nelle attività extrascolastiche. Nell'Ospedale Centrale, la «moratoria matrimoniale», che effettivamente liberava un paziente dai suoi obblighi matrimoniali con un non paziente, aumentava quest'attività di rimozione. Per un gruppo di pazienti, la produzione teatrale semiannuale era un'attività di rimozione estremamente efficace: prove, prove generali, i costumi, lo scenario, allestire il palcoscenico, scrivere e riscrivere, recitare - tutto questo aveva un effetto positivo come lo ha, all'esterno, la costruzione di un mondo particolare per chi vi partecipa. Un altro «kick» importante per alcuni pazienti - e una pesante preoccupazione per i cappellani dell'ospedale - era l'entusiastica adesione alle attività religiose. Un altro ancora, per alcuni, il gioco d'azzardo (174).
Altri mezzi tascabili per astrarsi erano molto diffusi nell'Ospedale Centrale: libri polizieschi di assassini (175), carte, giochetti di incastro, che ciascuno portava con sé. Con questi mezzi, non solo ci si poteva astrarre dal reparto e dal giardino, ma se si doveva aspettare un'ora o giù di lì un infermiere, o il momento del pranzo o l'apertura del centro sociale ricreativo, l'implicazione del "sé" presente in questa subordinazione poteva essere evitata, estraendo immediatamente l'attrezzatura per la costruzione di un proprio mondo personale.
Gli strumenti individuali per crearsi un mondo erano sorprendenti. Un depresso, alcolista suicida, buon giocatore di bridge, disdegnava di giocare con quasi tutti gli altri pazienti, portandosi in giro il suo mazzo di carte tascabili, e annotando ogni tanto un nuovo sistema di mani per il gioco. Con un rifornimento delle sue caramelle di gomma preferite e la radio tascabile, poteva astrarsi dal mondo dell'ospedale a volontà, abbandonandosi al piacere.
Considerando le attività di rimozione, possiamo di nuovo sollevare la questione del super attaccamento all'istituzione. Nella lavanderia dell'ospedale, per esempio, c'era un paziente lavoratore che lavorava lì da molti anni. Gli era stato dato l'incarico ufficioso di capo-squadra e, a differenza di altri pazienti lavoratori, si gettava nel lavoro con una capacità, una devozione e una serietà evidenti a tutti. Il sorvegliante incaricato della lavanderia diceva di lui:

"Quello lì è il mio aiutante speciale. Lavora più lui di tutto il resto messo insieme. Sarei perduto senza di lui".

In cambio di questa fatica, il sorvegliante gli portava quasi ogni giorno qualcosa da mangiare da casa. E tuttavia c'era un che di grottesco in questo adattamento, poiché era evidente che quel profondo viaggio nel mondo del lavoro, aveva un leggero carattere di finzione; in fondo era sempre un paziente, non un capo-squadra, e questo gli veniva chiaramente ricordato, fuori del posto di lavoro.
Ovviamente, come indicano alcuni di questi esempi, le attività di rimozione non sono necessariamente illegittime. E' la funzione che esse incominciano ad offrire all'internato che ci porta a considerarle insieme a tutti gli altri adattamenti secondari. Un esempio eccezionale è, forse, la psicoterapia individuale negli ospedali mentali di stato; questo privilegio è così raro in queste istituzioni (176), e il contatto che ne risulta con lo psichiatra così unico, secondo la struttura ospedaliera dello status sociale, che un internato può, fino ad un certo grado, dimenticare dove si trova mentre segue la psicoterapia. Ricevendo veramente ciò che l'istituzione dichiara di dare, il paziente può riuscire ad astrarsi da ciò che l'istituzione realmente gli offre. C'è qui un'implicazione generale. Forse ogni attività cui una organizzazione stimola o consente ai propri membri di partecipare, è un pericolo potenziale per l'organizzazione stessa, perché pare non esista una attività in cui l'individuo non possa essere assorbito più del previsto.
Un'altra caratteristica è chiaramente evidente in alcune pratiche nascoste e forse si tratta di un fattore presente in tutte. Mi riferisco a ciò che i freudiani chiamano, talvolta, la «sovradeterminazione» (overdetermination). Alcune attività illecite sono perseguite con una dose di disprezzo, malizia, gioia, trionfo e anche a proprio rischio; il che non può essere giustificato dal piacere implicito nel solo consumo del prodotto. E' vero che, nelle istituzioni coercitive chiuse, è importante che soddisfazioni evidentemente piccole, possano essere definite come grandi. Ma anche tenendo conto di questa diversa valutazione, resta ancora qualcosa da spiegare.
Un aspetto della sovradeterminazione di alcuni adattamenti secondari è il significato che l'azione viene ad assumere quando viene usata "solamente" perché è proibita (177). Nell'Ospedale Centrale, gli internati che erano riusciti ad escogitare qualche elaborata evasione alle regole, spesso sembrava cercassero un compagno, anche se non pienamente fidato, davanti al quale poter dare prova dell'evasione fatta. Un paziente di ritorno da una scorreria fino alle ore piccole nella vita notturna cittadina, il giorno dopo avrà un mucchio di storie da raccontare; un altro chiamerà da parte gli amici, per mostrare loro dove ha nascosto la bottiglia vuota di alcool bevuta la sera prima, o mostrerà gli anticoncezionali che tiene in portafoglio. Non era inoltre raro, veder mettere alla prova la sicurezza dei propri nascondigli. Conoscevo un alcolista, pieno di risorse, che comperava di contrabbando una pinta di vodka, la metteva in un bicchiere di carta, si sedeva sul posto più esposto che potesse trovare nel prato, ubriacandosi lentamente; in quei momenti si divertiva ad offrire da bere alle persone che quasi appartenevano allo staff. Analogamente, conoscevo un sorvegliante che parcheggiava la sua macchina proprio di fronte al bar interno - il centro sociale dell'universo degli internati - dove, con un paziente suo amico, discuteva i requisiti più intimi delle donne che passavano, mentre si riposavano con un bicchiere di carta pieno di bourbon mascherato dalla tazza, di solito usata per altre bibite; proprio sotto agli occhi di tutti, brindando, pareva, alla distanza che li separava dalla scena attorno a loro.
Un altro aspetto della sovradeterminazione di alcuni adattamenti secondari è che il loro vero scopo sembra essere una fonte di soddisfazione. Come ho già detto per quanto riguarda i rapporti di corteggiamento, l'istituzione può essere definita come il proprio antagonista in un gioco serio, il cui oggetto sia segnare qualche punto contro l'ospedale. Ho sentito gruppi di pazienti discutere con piacere la possibilità di «ottenere un punto di vantaggio», quella sera, facendosi offrire un caffè (178), usando al proposito un termine generale per un'attività piuttosto minima (179). La tendenza dei detenuti a contrabbandare cibo ed altri generi di conforto nella cella di chi è stato messo in isolamento, può essere vista, non solo come un atto caritatevole, ma come un modo di dividere, associandovisi, lo spirito di colui che si è opposto all'autorità (180); analogamente gli elaborati piani di fuga, studiati da degenti, detenuti o prigionieri di guerra, possono essere visti non soltanto come un modo di riuscire a fuggire, ma come, un modo di pensare di stare per farlo.
Ritengo dunque che gli adattamenti secondari siano sovradeterminati e che alcuni di essi lo siano in modo particolare. Queste pratiche servono a coloro che le attuano, in modo diverso dall'uso che risulta più evidente: qualsiasi cosa ottengano, esse sembrano dimostrare a chi le mette in atto, se non ad altri, di possedere un'individualità e una autonomia personale, al di là della morsa in cui l'organizzazione lo stringe (181).

4.
Se la funzione degli adattamenti secondari è quella di innalzare una barriera fra l'individuo e l'unità sociale di cui si presume faccia parte, dovremmo supporre che alcuni adattamenti secondari non offrano un guadagno intrinseco, e funzionino semplicemente per esprimere una distanza non autorizzata - «il rifiuto di coloro che ti rifiutano» - (182) che serve alla propria tutela personale. La cosa sembra verificarsi nel caso di forme molto comuni di insubordinazione rituale, come per esempio il brontolamento e le lamentele che in realtà non ci si aspetta portino a dei mutamenti. Attraverso l'insolenza diretta che non incontra un'immediata correzione, o osservazioni quasi non udite dall'autorità, o gesti fatti alle spalle, coloro che sono subordinati esprimono un distacco dal luogo loro ufficialmente accordato. Un ex internato del penitenziario di Lewisburg ce ne dà un esempio:

"In superficie, la vita qui pare trascorrere molto placida, ma basta andare un po' al di sotto, per trovare i vortici e i gorghi della rabbia e della frustrazione. Il brontolio dello scontento e della ribellione è costante, la presa in giro sottovoce si verifica in qualunque occasione si passi vicino ad un ufficiale o ad una guardia, lo sguardo chiaramente calcolato per esprimere quel tanto di disprezzo che non richiede rappresaglie..." (183).

Brendan Behan ci presenta un esempio di un carcere britannico:

"Il guardiano gli urlò dietro.
«Bene, signore, - rispose. - Sto venendo, signore», e aggiunse in tono più basso «merdoso!»" (184).

Alcuni di questi modi di prender posizione apertamente ma con un margine di sicurezza al di fuori di quella autorizzata, sono magnifici, specialmente quando vengono sostenuti collettivamente. Ancora una volta le carceri ce ne dànno esempi pronti:

"Come esprimere disprezzo per l'autorità? Il modo di «obbedire» agli ordini può essere una possibilità. I negri sono particolarmente adatti alla parodia, qualche volta rompevano la fila del passo dell'oca. Si sedevano a tavola dieci per volta, togliendosi, tutti insieme, il berretto, con un'estrema precisione" (185).

"Quando il «pilota del cielo» saliva sul pulpito per farci la predica settimanale, ogni domenica, faceva qualche debole scherzo, al quale ridevamo sempre più forte e più a lungo possibile, sebbene sapesse che lo stavamo prendendo in giro. Faceva qualche osservazione appena spiritosa e, ogni volta, la chiesa si riempiva di una risata rauca [sic], anche se solo metà del pubblico aveva ascoltato ciò che aveva detto" (186).

Alcuni atti di insubordinazione rituale, si fondano sull'ironia e sono riscontrabili nella società esterna nelle galanterie da patibolo e, nelle istituzioni, nella costruzione di mascottes pesantemente significative. Un'ironia standardizzata, nelle istituzioni totali, è quella di inventare soprannomi per aspetti particolarmente paurosi o spiacevoli dell'ambiente. Nei campi di concentramento le rape venivano chiamate talvolta «ananas tedeschi» (187), un'esercitazione faticosa «geografia» (188). Nei reparti psichiatrici dell'ospedale del Monte Sinai, i casi che avevano bisogno di operazioni chirurgiche chiamavano l'ospedale «Monte Cianuro» (189) (Mount Cyanide) e i medici dello staff

"erano chiamati impropriamente e ci si riferiva loro con termini come «avvocato», «colletto bianco», «capo-banda» «presidente» «barista» «supervisore dell'assicurazione» e «direttore di banca». Uno di noi (E.A.W.) era chiamato con queste variazioni come «Weinberg» «Weingarten» «Weiner» e «Wiseman»,…" (190).

Nelle carceri, il luogo dove si infliggevano le punizioni poteva essere chiamato «il giardino da tè» (191). Nell'Ospedale Centrale uno dei reparti dove erano ricoverati malati incontinenti veniva sentito qualche volta come il reparto punizione per i sorveglianti, che lo chiamavano «il giardino delle rose». Un'ex paziente mentale ce ne dà un esempio:

"Ritornate nel soggiorno, Virginia decise che il cambio dei vestiti avrebbe costituito la Terapia dei Vestiti. T.V. Oggi era il mio turno per T.V. Il che sarebbe stato anche abbastanza divertente se avessi bevuto prima qualcosa di forte. Un ipnotico insomma. Il cocktail al ginepro. «Un Martini, per favore, - dicevano le più sofisticate. - Ma, dov'è l'oliva, infermiera ...»" (192).

Naturalmente, si dovrebbe capire che il mondo minacciante al quale viene risposto con l'ironia, non ha bisogno di essere imposto da un'autorità umana estranea, ma può imporsi da sé, o per natura, come nel caso di una persona gravemente ammalata che scherza sulla propria condizione (193).
Tuttavia, oltre all'ironia, c'era un tipo di insubordinazione rituale più sottile e interessante. C'è un atteggiamento particolare che può essere preso contro l'autorità altrui: esso comprende durezza, dignità e freddezza, combinate in modo da esprimersi in una forma di insolenza, non tanto sfacciata da richiedere punizioni immediate, ma tale tuttavia da rivelare che la persona è interamente presente a se stessa. Dato che questo tipo di comunicazione si attua attraverso l'espressione del corpo e della faccia, esso può essere costantemente usato, ovunque l'internato si trovi. Esempi del caso possono riscontrarsi nelle comunità carcerarie:

"La «correttezza» implica coraggio, sprezzo del pericolo, lealtà verso i compagni, saper evitare lo sfruttamento, netto rifiuto a riconoscere la superiorità del sistema di valori ufficiale, e il ripudio dell'idea che l'internato sia un uomo dì un livello inferiore. Consiste principalmente nella riaffermazione dell'integrità essenziale, della dignità e di ciò che ha valore in una situazione profondamente degradante, e l'esibizione di queste qualità personali, senza riguardo alla dimostrazione di forza data dal sistema ufficiale" (194).

Analogamente, nell'Ospedale Centrale, nei reparti punitivi di alta sorveglianza, dove gli internati avevano poco da perdere, c'erano esempi di pazienti che non oltrepassavano i limiti facendo guai, ma che, con il loro modo di fare, dimostravano un indifferente e mite disprezzo per tutti i membri dello staff, unito ad una completa padronanza di sé.

5.
Sarebbe facile giustificare lo sviluppo degli adattamenti secondari, sostenendo che l'individuo possiede una serie di bisogni, innati o coltivati, e che quando viene collocato in un ambiente che li nega, risponde semplicemente sviluppando mezzi artificiali per soddisfarli. Credo che questa spiegazione non faccia giustizia all'importanza per la struttura del "sé" di questi adattamenti nascosti.
Le tecniche per preservare le riserve del "sé" dalla morsa dell'istituzione, sono evidenti negli ospedali psichiatrici e nelle carceri, ma possono essere individuate in istituzioni più benigne e meno totalizzanti. Voglio dire che queste resistenze non sono un casuale meccanismo di difesa, quanto piuttosto un elemento costitutivo, essenziale del "sé".
I sociologi hanno sempre avuto un grande interesse nell'indicare i modi in cui l'individuo è costituito dal gruppo, da identificazioni nel gruppo e come si isterilisca se non ne ottiene un sostegno emotivo. Ma quando osserviamo ciò che accade in un ruolo sociale - o in un qualsiasi altro tipo di organizzazione sociale - la totalizzazione dell'unità non è tutto ciò che si vede. Troviamo sempre che l'individuo usa mezzi per mantenere una certa distanza, uno spazio da aprirsi a gomitate, fra sé e ciò in cui gli altri tendono ad identificarlo. Senza dubbio un ospedale psichiatrico di stato è un terreno molto fertile per la crescita di questi adattamenti secondari, ma in realtà, come succede con le erbacce, esse nascono in ogni tipo di organizzazione sociale. Se si trova, quindi, che in tutte le situazioni studiate finora, colui che ne fa parte ha eretto delle difese contro ciò che lo lega socialmente, perché dovremmo basare la nostra concezione del "sé" su come un individuo agirebbe, se le condizioni fossero «ideali»?
Il più semplice giudizio sociologico dell'individuo e del suo sé, è che egli sia per sé ciò che la sua condizione nell'organizzazione definisce che egli sia. Quando ne è costretto, il sociologo modifica questo modello, ammettendo alcune complicazioni: il "sé" potrebbe non essere ancora formato e potrebbe mostrare la presenza di conflitti. Forse dovremmo complicare ancora lo schema, elevando questi requisiti ad un livello centrale, definendo inizialmente l'individuo, secondo fini sociologici, come un'entità che occupa spazio, un qualcosa che sta più o meno fra l'identificazione con un'organizzazione e il suo opposto, pronto alla più leggera pressione a riprendere il suo equilibrio, orientando la sua partecipazione in entrambe le direzioni. E' quindi lottando "contro qualcosa" che il "sé" può emergere. Questo è stato giustamente valutato dagli studiosi del totalitarismo:

"In breve, Ketman intende che la realizzazione del <sé> si attui <contro> qualcosa. Colui che segue Ketman soffre per gli ostacoli che incontra; ma se questi ostacoli fossero improvvisamente rimossi, si troverebbe in un vuoto che forse gli risulterebbe molto più doloroso. Una rivolta interna è a volte essenziale per la salute spirituale, e può creare una forma particolare di felicità. Ciò che può essere detto apertamente è spesso molto meno interessante della magia emotiva, implicita nel difendere il proprio santuario privato" (195).

Ho riscontrato lo stesso fenomeno nelle istituzioni totali. Ma questo non potrebbe tuttavia essere il caso anche della società libera?
Senza qualcosa cui appartenere, non esiste sicurezza per il "sé" e, tuttavia, un inglobamento totale e un coinvolgimento con una qualsiasi unità sociale, implica un tipo di riduzione di sé. Il senso della nostra identità personale può risultare dall'uscire da una più vasta unità sociale; esso può risiedere dunque nelle piccole tecniche con le quali resistiamo alla pressione. Il nostro status è reso più resistente dai solidi edifici del mondo, ma il nostro senso di identità personale, spesso risiede nelle loro incrinature.


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