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Dei dolori e delle pene ASYLUMS.
Le istituzioni totali.


PREFAZIONE DELL'AUTORE.


Dall'autunno 1954 fino alla fine del 1957 sono stato membro visitatore al Laboratory of Socio-environmental Studies del National Institute of Mental Health in Bethesda, Maryland. In quegli anni feci alcuni brevi studi sul comportamento di reparto nel National Institute of Health Clinical Center. Nel 1955-56 feci un anno di lavoro sul campo nell'ospedale St. Elizabeths, a Washington (D.C.), un'istituzione federale di circa settemila internati, dove convergono tre quarti dei pazienti del distretto della Columbia. Mi fu possibile raccogliere il materiale, in seguito alla concessione di una borsa di studio del National Institute of Mental Health, M-4111 (A) e con la partecipazione del Center for the Integration of Social Science Theory dell'Università di California, Berkeley.
Lo scopo immediato del mio lavoro nell'ospedale St. Elizabeths era tentare di apprendere qualcosa sul mondo sociale dell'internato e su come egli viva soggettivamente la propria situazione. Iniziai con il ruolo di assistente al corso di ginnastica, precisando, quando mi veniva richiesto, di essere uno studioso della vita di comunità; passavo il giorno con i pazienti, evitando di intrattenere rapporti socievoli con lo staff e di disporre di chiavi. Non dormivo nei reparti e la direzione dell'ospedale conosceva lo scopo della mia presenza.
Era allora, ed è tuttora, mia opinione che qualsiasi gruppo di persone - detenuti, primitivi, piloti o pazienti - sviluppino una vita personale che diventa ricca di significato, razionale e normale quando ci si avvicini ad essa, e che un buon modo di apprendere qualcosa su questi mondi potesse essere partecipare al ciclo di vita quotidiana cui gli internati sono soggetti.
I limiti, sia del metodo da me adottato, che della sua applicazione sono ovvi: non mi sono lasciato coinvolgere neppure apparentemente e se lo avessi fatto, l'insieme dei miei movimenti e dei miei ruoli, quindi i miei dati, sarebbe stato ancora più limitato. Per ottenere un dettaglio etnografico degli aspetti particolari della vita sociale dei pazienti, non mi sono riferito agli usuali sistemi di misura e di controllo. Pensavo che il ruolo e il tempo che mi sarebbero stati richiesti per raccogliere una statistica su alcune condizioni di base, mi avrebbero impedito di raccogliere i dati, nel tessuto stesso in cui si trova a costruirsi la vita dei pazienti. Il mio metodo ha anche altri limiti. Il modo di vedere il mondo da parte di un gruppo, funziona a sostegno di coloro che ne fanno parte offrendo una definizione autogiustificante della loro situazione, e la possibilità di giudicare ad una certa distanza quelli che non appartengono al gruppo - in questo caso medici, infermieri, sorveglianti e parenti. Se si vuole descrivere fedelmente la situazione del paziente non si può essere obiettivi. (Di questo mi scuso - entro certi limiti - affermando che lo squilibrio è però dal giusto piatto della bilancia, poiché quasi tutta la letteratura professionale sui pazienti mentali è scritta dal punto di vista dello psichiatra, ed egli è - socialmente parlando - dall'altra parte). Inoltre, devo premettere che è probabile che il mio giudizio risenta del fatto di essere un borghese: forse io ho sofferto per condizioni cui i pazienti di classe più povera sapevano far fronte con minor disagio. Infine, diversamente da quanto succede in alcuni pazienti, io arrivai in ospedale, animato da ben scarso rispetto per la psichiatria in quanto scienza, e per le altre entità ad essa collegate.
Vorrei qui riconoscere in modo particolare l'aiuto che mi è stato dato dalle autorità responsabili. Il permesso per intraprendere questo studio sull'ospedale St. Elizabeths, fu trattato con l'allora primo assistente medico, il defunto dottor Jay Hoffman. Ci accordammo sul fatto che l'ospedale si sarebbe riservato il diritto di controllare e criticare il testo prima della pubblicazione, ma che non avrebbe fatto alcuna censura finale né richiesto chiarimenti particolari, essendo questi di pertinenza del National Institute of Mental Health di Bethesda. Fu d'accordo sul fatto che nessuna osservazione su persone identificabili dello staff o sugli internati sarebbe stata riportata a lui o a chiunque altro e che, in qualità di osservatore, io non ero obbligato ad interferire su ciò che volevo osservare. Accettò di aprire per me tutte le porte dell'ospedale e, durante il periodo della ricerca, lo fece, quando glielo chiesi, con una cortesia, prontezza ed efficienza che non dimenticherò mai. Più tardi, quando il sovrintendente dell'ospedale, dottor Winifred Overholser, controllò la prima stesura del lavoro, fece alcune cortesi correzioni di qualche errato riferimento, critiche e suggerimenti di cui ho fatto esplicitamente uso nella mia interpretazione delle cose e nel metodo adottato. Durante la ricerca il Laboratory of Socio-environmental Studies, allora diretto da John Clausen, mi fornì stipendi, segretari, critiche professionali ed aiuto, in modo da affrontare la realtà ospedaliera da un'angolatura sociologica e non dal punto di vista di una psichiatria velleitaria. Furono richiesti chiarimenti dal Laboratory e dal suo corpo dirigente, il National Institute of Mental Health ma il tutto si limitò all'invito a formulare un'espressione diversa in sostituzione di uno o due aggettivi villani.
Ciò che devo aggiungere è che la libertà e l'opportunità di dedicarmi ad una ricerca pura mi venne data da un ente governativo, per mezzo dell'aiuto economico di un altro ente governativo, entrambi incaricati di operare nella delicata area di Washington; il che è stato attuato in un momento in cui alcune università del nostro paese - tradizionali roccaforti della ricerca libera - avrebbero imposto maggiori limiti al mio lavoro. Per questo devo ringraziare l'apertura culturale degli psichiatri e degli scienziati sociali al governo.

Berkeley (Cal.) 1961.


PREMESSA DELL'AUTORE.


Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere più tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle istituzioni totali in generale e degli ospedali psichiatrici in particolare, con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell'internato e non quello dello staff. Interesse primo è presentare un'interpretazione sociologica della struttura del "sé" ("self").
L'opera comprende quattro saggi, originariamente scritti separatamente, dei quali i primi due sono già stati pubblicati. Tutti tendono a puntualizzare il medesimo problema: la situazione dell'internato. Si riscontreranno quindi delle ripetizioni. Ogni saggio tuttavia avvicina il problema centrale da un punto di partenza diverso, prendendo l'avvio da una diversa fonte sociologica, e non presenta quindi che qualche elemento in comune con gli altri.
Mi rendo conto che questo modo di presentare l'argomento può infastidire il lettore. Esso mi permette, tuttavia, di seguire analiticamente il tema centrale svolto in ciascun saggio e di confrontarne le diverse interpretazioni, uscendo dai limiti che mi sarebbero consentiti dalla suddivisione in capitoli di un libro costruito come un insieme organico. Adduco a pretesto il punto in cui si trova la nostra disciplina. Io credo che, per il momento, se si riconosce ai concetti sociologici una certa validità, si deve risalire per ciascuno di essi fino al punto in cui la sua applicazione si sia dimostrata utile e da qui lo si deve seguire ovunque porti, fino a costringerlo a rivelare l'intera disciplina cui appartiene. Per vestire dei bambini, è probabile risultino più utili numerosi cappotti, che non un'unica, magnifica tenda, dove tutti tremano di freddo.
Il primo lavoro "Sulle caratteristiche delle istituzioni totali" è un'indagine generale sulla vita sociale che si svolge in queste organizzazioni, indagine ottenuta attraverso l'analisi di due situazioni limite che comportano una partecipazione coatta di coloro che da esse dipendono - gli ospedali psichiatrici e le prigioni. Vi sono inoltre già precisati i temi che saranno svolti dettagliatamente negli altri saggi e ne è suggerita la collocazione nell'insieme del lavoro. Il secondo saggio "La carriera morale del malato mentale" analizza gli effetti iniziali dell'istituzionalizzazione sulle relazioni sociali tipiche di un individuo, prima che si trovi a diventare un «internato». Il terzo "La vita sotterranea di un'istituzione pubblica" si riferisce al tipo di legame che si presume l'internato abbia con l'istituto che lo tiene rinchiuso e, in particolare, al modo in cui egli può interporre una distanza fra sé e ciò che ci si aspetta da lui. L'ultimo saggio "Il modello medico e il ricovero psichiatrico" riporta l'attenzione sullo staff professionale per considerare - nel caso degli ospedali psichiatrici - il ruolo delle prospettive mediche nel presentare al malato la realtà della sua situazione.


SULLE CARATTERISTICHE DELLE ISTITUZIONI TOTALI.


Una versione più breve di questo saggio appare in "Symposium on Preventive and Social Psychiatry", Walter Reed Army Institute of Research, Washington (D.C.), 15-17 aprile 1957, p.p. 43-84. L'attuale versione è tratta da DONALD R. CRESSEY (a cura di), "The Prison", copyright 1961, Holt, Rinebart and Winston, Inc.


INTRODUZIONE.


1.
Le organizzazioni sociali - o istituzioni nel senso comune del termine - sono luoghi, locali o insiemi di locali, edifici, costruzioni, dove si svolge con regolarità una certa attività. In sociologia non esiste un modo particolare di classificarle. Alcune istituzioni, come la stazione centrale, sono accessibili a chiunque si comporti in modo decente; altre, come l'Union Club di New York, o i laboratori di Los Alamos sembrano più esclusive e rigorose circa il livello dei loro partecipanti; altre ancora, come negozi o uffici postali, sono costituite da alcuni membri fissi che vi svolgono un certo servizio, e da un continuo fluire di persone che lo richiedono. Altre, come case e fabbriche, coinvolgono un gruppo meno fluttuante di partecipanti. In alcune istituzioni si svolgono attività dalle quali viene sancita la condizione sociale di coloro che ne fanno parte, il che può essere più o meno gradito. Altre invece consentono il raggrupparsi di persone allo scopo di svolgere un tipo di attività ricreative da loro scelte, sfruttando il tempo rimasto libero da attività impegnative. In questo saggio viene isolata e riconosciuta come naturale e ricca di possibilità di indagine, un'altra categoria di istituzioni, i cui membri sembrano avere tanti elementi in comune con quelli delle altre che, per studiarne una, risulterebbe utile esaminarle tutte.

2.
Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il che significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione inglobante. Nella nostra società occidentale ci sono tipi diversi di istituzioni, alcune delle quali agiscono con un potere inglobante - seppur discontinuo - più penetrante di altre. Questo carattere inglobante o totale è simbolizzato nell'impedimento allo scambio sociale e all'uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell'istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d'acqua, foreste o brughiere. Questo tipo di istituzioni io lo chiamo «istituzioni totali» ed è appunto il loro carattere generale che intendo qui analizzare (1)
Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate - grosso modo - in cinque categorie. Primo, le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi (istituti per ciechi, vecchi, orfani o indigenti). Secondo, luoghi istituiti a tutela di coloro che, incapaci di badare a se stessi, rappresentano un pericolo - anche se non intenzionale - per la comunità (sanatori per tubercolotici, ospedali psichiatrici e lebbrosari). Il terzo tipo di istituzioni totali serve a proteggere la società da ciò che si rivela come un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere delle persone segregate non risulta la finalità immediata dell'istituzione che li segrega (prigioni, penitenziari, campi per prigionieri di guerra, campi di concentramento). Quarto, le istituzioni create al solo scopo di svolgervi una certa attività, che trovano la loro giustificazione sul piano strumentale (furerie militari, navi, collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali e grandi fattorie, queste ultime guardate naturalmente dalla parte di coloro che vivono nello spazio riservato ai servi). Infine vi sono le organizzazioni definite come «staccate dal mondo» che però hanno anche la funzione di servire come luoghi di preparazione per religiosi (abbazie, monasteri, conventi ed altri tipi di chiostri). Una suddivisione delle istituzioni totali così formulata non è né chiara, né esauriente, né può servire di base per uno studio analitico dell'argomento. Essa risulta tuttavia capace di darci una definizione significativa della categoria, come punto di partenza concreto. Fissando in tal senso la definizione iniziale delle istituzioni totali, spero di riuscire ad analizzarne le caratteristiche, senza cadere nel pericolo di essere tautologico.
Prima di tracciare un profilo generale da questo insieme di organizzazioni istituzionali, vorrei qui fare una precisazione di carattere concettuale: nessuno degli elementi che descriverò sembra tipicamente peculiare delle istituzioni totali, né può essere condiviso da tutte. Ciò che è tipico nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo grado, molti elementi in comune in questo tipo di caratteristiche. Parlando di «caratteristiche» userò dunque il termine in senso piuttosto restrittivo ma, penso, logicamente comprensibile. Ciò mi consente - contemporaneamente - di seguire il metodo della tipologia ideale, stabilendone i fattori comuni, con la speranza di poter evidenziare in seguito differenze significative.

3.
Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è che l'uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con compagni diversi, sotto diverse autorità o senza alcuno schema razionale di carattere globale. Caratteristica principale delle istituzioni totali può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abitualmente separano queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall'una all'altra, dato che il complesso di attività è imposto dall'alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell'istituzione.
Queste caratteristiche possono essere riscontrate, isolatamente, anche in luoghi che non hanno niente a che fare con le istituzioni totali. Ad esempio le nostre grandi organizzazioni commerciali, industriali e culturali vanno sempre più fornendo luoghi di ristoro e svaghi ricreativi per il tempo libero dei loro dipendenti. Tuttavia il fatto di poter godere di una più vasta gamma di possibilità, conserva - sotto molti aspetti - un carattere volontario e ci si preoccupa, anzi, di non far estendere il potere usuale dell'autorità fino a questo territorio. Analogamente le «casalinghe» o le famiglie che vivono nelle fattorie di campagna possono svolgere le loro attività vitali più importanti all'interno di una medesima area recintata, senza tuttavia essere irreggimentate collettivamente, dato che non svolgono le loro attività giornaliere a stretto contatto di gruppi di persone nelle loro medesime condizioni.
Il fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il dover «manipolare» molti bisogni umani per mezzo dell'organizzazione burocratica di intere masse di persone - sia che si tratti di un fatto necessario o di mezzi efficaci cui l'organizzazione sociale ricorre in particolari circostanze. Ne conseguono alcune importanti implicazioni.
Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da un personale la cui principale attività non risulta la guida o il controllo periodico (come può essere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore), quanto piuttosto un tipo di sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla che ciascun membro faccia ciò che gli e stato chiesto di fare, in una situazione dove si tenderà a puntualizzare l'infrazione dell'uno contrapponendola all'evidente zelo dell'altro che, per questo, verrà costantemente messo in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a precedere il costituirsi del piccolo staff controllore o viceversa, non è questo il problema; ciò che conta è che l'uno è fatto per l'altro.
Nelle istituzioni totali c'è una distinzione fondamentale fra un grande gruppo di persone controllate, chiamate opportunamente «internati», e un piccolo staff che controlla. Gli internati vivono generalmente nell'istituzione con limitati contatti con il mondo da cui sono separati, mentre lo staff presta un servizio giornaliero di otto ore ed è socialmente integrato nel mondo esterno (2). Ogni gruppo tende a farsi un'immagine dell'altro secondo stereotipi limitati e ostili: lo staff spesso giudica gli internati malevoli, diffidenti e non degni di fiducia; mentre gli internati ritengono spesso che il personale si conceda dall'alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo staff tende a sentirsi superiore e a pensare di aver sempre ragione; mentre gli internati, almeno in parte, tendono a ritenersi inferiori, deboli, degni di biasimo e colpevoli (3).
La mobilità sociale fra le due classi è molto limitata: la distanza sociale è generalmente notevole e spesso formalmente prescritta. Perfino il colloquio fra l'una e l'altra «sfera» può svolgersi con un tono particolare di voce, così come risulta dal racconto romanzato di un'esperienza reale, vissuta durante un soggiorno in un ospedale psichiatrico:

«Stammi bene a sentire, - disse la signorina Hart mentre attraversavano la sala di soggiorno. - Cerca di fare quello che ti dice la signorina Davis. Non pensarci, fallo soltanto. Vedrai che andrà tutto bene».
Non appena ne sentì pronunciare il nome, Virginia capì ciò che vi era di terribile al reparto Uno. La signorina Davis. «E' la capo-infermiera?» «Certo!» mormorò la signorina Hart. Fu allora che alzò la voce. Le infermiere si comportavano con le pazienti come se non fossero in grado di sentire se non si rivolgevano loro urlando. Spesso parlavano fra loro con voce normale per dirsi cose che le «ammalate» non dovevano sentire; se non fossero state infermiere, avresti detto che parlassero sole. «Una persona molto competente ed efficiente, la signorina Davis», annunciò la signorina Hart (4).

Benché un certo grado di comunicazione fra i ricoverati e lo staff che li sorveglia sia necessario, una delle funzioni del sorvegliante è il controllo del rapporto fra ricoverati e lo staff più qualificato. Uno studioso di problemi di ospedali psichiatrici ne dà un esempio:

"Dato che molti pazienti sono ansiosi di vedere il medico nel suo giro di visita, gli infermieri devono agire da mediatori fra i pazienti e il medico, qualora quest'ultimo non voglia farsi sopraffare da loro. Al reparto n. 30, sembra che al paziente senza sintomi fisici particolari che fosse caduto tanto in basso da non godere più alcun privilegio, non venisse mai permesso di rivolgere la parola al medico, se non era lo stesso dottor Baker a chiedere di lui. Il gruppo insistente, brontolone e delirante - che nel gergo degli infermieri era definito come «gli scocciatori», «le seccature» o «i cani da punta» - spesso tentava di passare oltre il sorvegliante-mediatore, ma quando qualcuno riusciva a farlo, veniva trattato piuttosto male" (5).

Così com'è ridotta la possibilità di comunicare fra un livello e l'altro, è altrettanto limitato il passaggio di informazioni, in particolare quelle che riguardano i piani dello staff nei confronti dei ricoverati. Il ricoverato è escluso, in particolare, dalla possibilità di conoscere le decisioni prese nei riguardi del suo destino. Che ciò accada nel campo militare (viene allora nascosta agli arruolati la destinazione del loro viaggio) o medico (si nasconde la diagnosi, il trattamento e la lunghezza della degenza prevista per i pazienti tubercolotici) (6), questa esclusione pone lo staff ad un particolare punto di distanza dagli internati, conservando una possibilità di controllo su di loro.
Queste limitazioni di rapporto è probabile contribuiscano a mantenere gli stereotipi di tipo antagonistico (7). Due mondi sociali e culturali diversi procedono fianco a fianco, urtandosi l'un l'altro con qualche punto di contatto di carattere ufficiale, ma con ben poche possibilità di penetrazione reciproca. Inoltre l'ordinamento e l'istituzione stessa vengono identificati, in modo significativo, sia dallo staff che dagli internati come appartenenti in qualche modo allo staff, tanto che qualora l'uno o l'altro gruppo si riferisca alla finalità o agli interessi della «istituzione», risulta implicito che si stanno riferendo (come del resto io stesso farò) alla finalità e agli interessi dello staff.
La frattura fra staff e internati è una delle più gravi implicazioni della manipolazione burocratica di grandi gruppi di persone; una seconda implicazione concerne il problema del lavoro.
Negli ordinamenti usuali del vivere sociale, l'autorità del posto di lavoro si arresta nel momento in cui il lavoratore riceve il compenso per la propria attività svolta; il fatto di spenderlo nell'ambiente familiare e in occasioni ricreative, resta una sua questione privata, il che costituisce un mezzo per circoscrivere e delimitare l'autorità del luogo di lavoro. Ma affermare che agli internati delle istituzioni totali viene pianificata l'intera giornata, significa riconoscere che si dovrà organizzare la soddisfazione di tutti i loro bisogni primari. Qualunque sia l'incentivo al lavoro, esso non avrà il significato strutturale che ha nel mondo esterno. Ci saranno motivazioni diverse e diversi modi di considerarlo. Questo è un adattamento basilare richiesto agli internati e a coloro che devono indurli a lavorare.
Talvolta viene loro richiesta un'attività cosi limitata che gli internati, non abituati a lavori tanto leggeri, si annoiano enormemente. Il lavoro richiesto potrebbe essere svolto ad un ritmo molto lento o essere inserito in un sistema di pagamento che non corrisponde al valore dell'attività prestata ed è spesso di natura rituale, come la razione settimanale di tabacco e i regali di Natale che stimolano alcuni pazienti mentali a dedicarsi a certe attività. Naturalmente accade che, in altri casi, venga invece richiesto un orario di lavoro che supera quello di una normale giornata lavorativa; il che viene ottenuto, non tanto attraverso l'incentivo al guadagno, quanto piuttosto per la paura di una punizione fisica. In alcune istituzioni totali, come ad esempio campi per lavori stagionali e navi mercantili, la pratica del risparmio forzato pospone l'usuale rapporto con ciò che il denaro può acquistare; l'istituzione si occupa di tutti i bisogni di coloro che ne fanno parte ed il pagamento è effettuato soltanto quando il periodo di lavoro è finito ed i lavoratori se ne vanno. In alcune istituzioni vige una sorta di schiavismo, nel senso che tutto il tempo dell'internato viene messo a completa disposizione dello staff; qui il senso del "sé" dell'internato e del suo possesso possono venirgli alienati dalla sua stessa capacità lavorativa. T. E. Lawrence ne dà un esempio nel suo racconto sul servizio prestato in un centro addestramento della RAF.

"I militari con un'anzianità di sei settimane che incontriamo sul lavoro feriscono il nostro senso morale incitandoci al menefreghismo: «Siete dei cretini, voi reclute, a scannarvi così», ci dicono. Che dipenda dal nostro entusiasmo per un'esperienza nuova, o è da ritenersi un residuo di civiltà che si conserva in noi? La RAF ci pagherà tutte le ventiquattro ore del giorno a tre mezzi penny all'ora; pagati per lavorare, per mangiare, per dormire: quei mezzi penny continuano ad accumularsi. E' dunque impossibile nobilitare una attività facendola bene. Bisogna perdere quanto più tempo possibile, dato che, alla fine del lavoro, non c'è ad aspettarci la casa e la famiglia, ma un altro lavoro" (8).

Che ci sia troppo da fare o troppo poco, colui che, nel mondo esterno, era un buon lavoratore, nell'istituzione totale viene corrotto a causa del sistema lavorativo vigente. Un esempio di un tal tipo di scadimento morale è la pratica, in uso in ospedali psichiatrici di stato, di «mendicare» o di «lavorarsi qualcuno» per un soldo da spendere al bar. Ciò viene fatto - seppure spesso con qualche riluttanza - da persone che nel mondo esterno lo considererebbero un comportamento al di sotto del loro rispetto di sé. (I membri dello staff, interpretando l'accattonaggio secondo i loro stereotipi civili nei confronti del guadagno, tendono a vederlo come un sintomo di malattia mentale e come un'ulteriore prova che li conferma nella convinzione che i ricoverati sono malati).
Vi è, dunque, un'incompatibilità fra le istituzioni totali e la struttura di base del pagamento del lavoro così com'è inteso nella nostra società. Le istituzioni totali sono incompatibili anche con un altro elemento fondamentale nella nostra società, la famiglia. La vita familiare è talvolta in contrasto con la vita del singolo; tuttavia i conflitti più reali si evidenziano nella vita di gruppo, dato che coloro che vivono, mangiano e dormono nel luogo di lavoro con un gruppo di compagni, difficilmente possono avere una vita familiare particolarmente significativa (9). Al contrario, invece, il fatto di avere la famiglia. separata dal luogo di lavoro, consente ai membri dello staff di mantenersi integrati nella comunità esterna e di sfuggire alla tendenza inglobante della istituzione totale.
Che una particolare istituzione totale agisca nella società civile come una forza positiva o negativa, si tratta sempre di una «forza» che si avvalorerà, in parte, della soppressione di un intero cerchio di gruppi familiari, attuali o potenziali. Al contrario, l'esistenza di nuclei familiari offre la garanzia strutturale che le istituzioni totali troveranno qualche resistenza. L'incompatibilità di queste due forme di organizzazione sociale dovrebbe quindi dirci qualcosa sulle loro più ampie funzioni sociali.
L'istituzione totale è un ibrido sociale, in parte comunità residenziale, in parte organizzazione formale; qui sta appunto il suo particolare interesse sociologico. Inoltre vi sono altre ragioni di interesse in questo tipo di organizzazioni. Nella nostra società esse sono luoghi in cui si forzano alcune persone a diventare diverse: si tratta di un esperimento naturale su ciò che può essere fatto del sé.
Sono state qui proposte alcune caratteristiche cruciali delle istituzioni totali. Ora vorrei prendere in esame queste organizzazioni da due prospettive diverse : primo, il mondo dell'internato; secondo, il mondo dello staff. Per poi parlare sui contatti fra l'uno e l'altro.


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