Sezione B.1 - Perché gli anarchici sono contro l’autorità e la gerarchia?

Come prima cosa, è necessario indicare quale tipo di autorità combatte l’anarchismo. Come spiega Erich Fromm in To Have or To Be, l’ “’autorità'” è “un termine ampio, dotato di due significati affatto diversi: può essere sia ‘razionale’ che ‘irrazionale’. L’autorità razionale è fondata sulla competenza, ed aiuta a crescere la persona che ci si appoggia. L’autorità irrazionale è fondata  sul potere e serve a sfruttare la persona  ad essa asservita.” [pp. 44-45] La stessa questione fu sollevata da Bakunin 100 anni prima (vedi God and the State, per esempio) quando descriveva la differenza tra autorità ed influenza.

Il punto cruciale è nella differenza fra avere autorità ed essere un’autorità. Essere un’autorità significa semplicemente che una data persona è generalmente riconosciuta competente in un dato campo, basandosi sulla sua abilità e sulle sue conoscenze. Detto in parole povere, è esperto.  Al contrario, avere autorità è una relazione sociale basata sullo status ed il potere derivante da una posizione gerarchica, non dall’abilità individuale. Ovviamente, questo non significa che la competenza non è un elemento che può essere usato per ottenere una posizione gerarchica; significa semplicemente che la reale o presunta competenza iniziale è trasferita nel titolo o nella posizione dell’autorità, così da divenire indipendente dalle persone, istituzionalizzata.

Questa differenza è importante perché il modo di comportarsi delle persone è più un prodotto delle istituzioni attorno alle quali cresciamo che di una natura intrinseca.  In altre parole, le relazioni sociali danno forma agli individui coinvolti. Questo significa che i vari gruppi che gli individui formano hanno tratti, comportamenti e altre caratteristiche che non  potrebbero essere comprese riducendoli agli individui dentro di essi. Come dire che i gruppi non sono formati dai soli individui che li compongono, ma anche dai rapporti fra individui e questi rapporti influenzeranno tutti quelli a loro soggetti. Per esempio, ovviamente “l’esercizio del potere da parte di qualcuno toglie potere ad  altri” e questo attraverso una “combinazione di intimidazione fisica, dominio e dipendenza economica, limitazioni psicologiche, istituzioni sociali e pratiche condiziona il modo di vedere il mondo di ognuno ed il suo posto in esso.” [Martha A. Ackelsberg, Free Women of Spain, p. 20]

Le relazioni sociali autoritarie significano dividere la società fra chi (pochi) da gli ordini e chi (i più) riceve gli ordini, impoverire gli individui coinvolti (mentalmente, emozionalmente e fisicamente) e la società nell’insieme. Le relazioni umane in ogni aspetto della vita, sono marchiate dall’autorità, non dalla libertà. E siccome la libertà può solo essere creata dalla libertà, i rapporti sociali autoritari (e l’obbedienza che richiedono) non educano e non possono educare una persona alla libertà – solo la partecipazione (autogestione) in tutti gli aspetti della vita può farlo.

Naturalmente, verrà fatto notare che in ogni azione collettiva c’è la necessità della co-operazione e della co-ordinazione e questo bisogno di “subordinare” l’individuo alle attività del gruppo è una forma di autorità. Si, ma ci sono due modi di co-ordinare l’attività individuale nei gruppi – o per mezzi autoritari o attraverso mezzi libertari. Proudhon, riferendosi ai luoghi di lavoro, rende chiara la differenza:

    “o il lavoratore… sarà solo l’impiegato del padrone-capitalista-imprenditore; oppure parteciperà… [e] avrà una voce in assemblea, in poche parole         diverrà un associato.

    “Nel primo caso il lavoratore è subordinato, sfruttato: la sua condizione permanente è di obbedienza… Nel secondo caso recupera la sua dignità di             uomo e cittadino… è parte di una organizzazione di produzione, della quale prima era schiavo; così come, in una città, è parte del potere sovrano, del         quale prima era oggetto… non dobbiamo esitare, perché non abbiamo scelta… è necessario formare un’ASSOCIAZIONE fra i lavoratori… perché             senza di essa, rimarranno relazionati come dipendenti e  superiori, e ne conseguiranno due… classi di padroni e lavoratori-salariati, il che è ripugnante     per una società libera e democratica.”
[Pierre-Joseph Proudhon, General Idea of the Revolution, pp. 215-216]

In altre parole, le associazioni possono essere basate su una forma razionale di autorità, sull’influenza naturale, e quindi rispecchiare la libertà degli individui, l’abilità di pensare, agire, provare emozioni e gestire il proprio tempo e le proprie attività. Contrariamente, poniamo elementi di schiavitù nei nostri rapporti con gli altri, elementi che avvelenano il tutto e ci formano negativamente (vedi la sezione B.1.1). Solo una riorganizzazione della società in modo libertario (e, si potrebbe aggiungere, la trasformazione mentale che un tale cambiamento richiederebbe e potrebbe generare) permetterà all’individuo di “fiorire in misura più o meno elevata, continuando nel mentre a crescere” e di bandire “quello spirito di sottomissione che gli[le] è stato imposto artificialmente”  [Nestor Makhno, The Struggle Against the State and Other Essays, p. 62]

Quindi gli anarchici “non domandano altro che veder [gli altri]… esercitare su di noi un’influenza naturale e legittima, accettata liberamente, non imposta… Noi accettiamo tutte le autorità naturali e le influenze di fatto, ma nessuna di diritto…”  [The Political Philosophy of Bakunin, p. 255] Il sostegno degli anarchici alla libera associazione in gruppi direttamente democratici è basato su forme organizzative che incrementino l’influenza e riducano l’autorità irrazionale presente nelle nostre vite. I membri di tali organizzazioni possono creare e presentare le loro idee ed i loro suggerimenti, valutare criticamente le proposte dei loro compagni, accettare quelle che condividono o che li convincono ed hanno la possibilità di lasciare l’associazione se sono scontenti della direzione che ha preso. Per cui sono l’influenza degli individui e la loro libera interazione a determinare la natura delle decisioni prese, e nessuno ha il diritto di imporre le proprie idee su un altro. Secondo le argomentazioni di Bakunin, in tali organizzazioni “nessun ruolo rimarrà fisso né resterà permanentemente ed irrevocabilmente ad una persona. L’ordine gerarchico e le promozioni non esistono… In un sistema siffatto, il potere, propriamente detto, non esiste più. Il potere è esteso alla collettività e diviene la vera espressione  della libertà di ciascuno.” [Bakunin on Anarchism, p. 415]

Concludendo, gli anarchici si oppongono all’autorità irrazionale (cioè illegittima), in altre parole, alla gerarchia – essendo la gerarchia l’istituzionalizzazione dell’autorità in una società. Le istituzioni sociali gerarchiche includono lo stato (vedi la sezione B.2), la proprietà privata (vedi la sezione B.3) e, quindi, il capitalismo (vedi la sezione B.4).  Per la loro natura gerarchica, gli anarchici si oppongono a queste istituzioni con decisione. Ma ad ogni modo, la gerarchia esiste anche oltre queste istituzioni. Per esempio, relazioni sociali gerarchiche sono il sessismo, il razzismo e l’omofobia (vedi la sezione B.1.4), e gli anarchici si oppongono a tutte queste, e le combattono.

Come fatto notare prima (Nella sezione A.2.8), gli anarchici considerano tutte le gerarchie non solo dannose ma non necessarie e credono ci siano vie alternative ed egualitarie  per organizzare il vivere sociale. Infatti, sostengono che l’autorità gerarchica crei le condizioni che sarebbe chiamata a combattere, e questo tende ad auto-perpetuarsi. Così le burocrazie apparentemente nate per far cessare la povertà tendono a perpetuarla al massimo, perché senza la povertà, i ben pagati amministratori dirigenti resterebbero senza lavoro. Lo stesso principio si può applicare alle agenzie incaricate di eliminare l’abuso di droghe, di combattere il crimine, etc. In altre parole, il potere ed i privilegi che derivano dai vertici delle gerarchie costituiscono un forte incentivo per quelli che li occupano e non per risolvere i problemi che questi dovrebbero risolvere. (Per ulteriori approfondimenti vedi Marilyn French, Beyond Power: On Women, Men, and Morals, Summit Books, 1985.)

B.1.1 Quali sono gli effetti delle relazioni sociali autoritarie?

L’autorità gerarchica è inestricabilmente connessa alla marginalizzazione ed all’esautorazione di coloro che non hanno autorità. Questo ha effetti negativi su chi  vede esercitata su di sé l’autorità, dato che “coloro che possiedono questi simboli di autorità e coloro che ne beneficiano devono attutire il modo di pensare realistico, vale a dire critico, dei loro subordinati, e far sì che credano alla finzione [che quell’autorità irrazionale è razionale e necessaria],… [così] la mente viene addormentata attraverso l’uso di clichè… [e] la gente è resa ottusa perché diventa dipendente e perde la sua capacità di giudicare coi suoi occhi” [Erich Fromm, Op. Cit., p. 47]

O, per dirla con Bakunin, “il principio di autorità, concesso ad  uomini che abbiano ottenuto la maggioranza, diviene una mostruosità, una sorta di schiavitù e depravazione morale ed intellettuale.” [God and the State, p. 41]

Questo concetto fu ribadito anche dai minatori sindacalisti che scrissero il classico The Miners' Next Step quando spiegavano la natura delle organizzazioni autoritarie ed i loro effetti sulle persone coinvolte. La sovranità ( o autorità gerarchica) “implica il potere detenuto dal capo. Senza il potere, il capo è incapace. Il possesso del potere inevitabilmente porta alla corruzione… invece che… [alle] buone intenzioni…[La sovranità significa che] il potere d’iniziativa, questo senso di responsabilità, l’autostima caratteristica dell’uomo spontaneo [sigh!], è sottratta agli uomini e consolidata nel capo. La somma della loro iniziativa, responsabilità, autostima diviene sua… [e] l’ordine ed il sistema che regge è basato sulla soppressione delle persone, trasformate da pensatori indipendenti quali erano in ‘’gente’’… In poche parole, è costretto a diventare un autocrate ed un nemico della democrazia.” Dunque, per il “capo”, questa marginalizzazione può essere benefica, per il capo “non c’è bisogno di alti gradi di intelligenza nella gerarchia, ma solo di sentire applaudire alle sue azioni. Dal suo punto di vista, questa intelligenza, portatrice di criticismo ed opposizione, è un ostacolo e crea solo confusione.” [The Miners' Next Step, pp. 16-17 p. 15]

Gli anarchici sono convinti che le relazioni sociali gerarchiche abbiano un effetto negativo sulle persone a loro soggette, le quali non possono più esercitare liberamente la loro abilità mentale, critica e creativa. Come dice Colin Ward, la gente “va dal ventre alla tomba senza realizzare il suo potenziale umano, proprio perché il potere di agire, di partecipare nell’innovazione, nella scelta, nel giudizio e nelle decisioni è riservato a chi sta ai vertici” (che di solito è un uomo!) [Anarchy in Action, p, 42]. L’anarchismo si basa sull’intuizione che ci sia una relazione fra le strutture ed istituzioni autoritarie e le attitudini e qualità psicologiche  dell’individuo. Seguire gli ordini tutti i giorni difficilmente porta ad una personalità indipendente, forte, creativa. Emma Goldman lo rende chiaramente dicendo che se “l’inclinazione [di una persona] e la sua capacità di giudizio sono sottomesse al volere di un padrone” (come per esempio un capo, dato che nel capitalismo molte persone devono vendere il loro lavoro) lentamente una tale relazione di potere “condanna milioni di persone a diventare nullità” [Red Emma Speaks, p. 36]

Il cervello umano, essendo un organo del corpo, deve essere usato regolarmente per essere attivo. L’autorità concentra l’attività decisionale nelle mani di chi sta in cima, e questo significa che la maggior parte delle persone sono ridotte ad esecutrici, seguendo ordini dagli altri. Se un muscolo non viene utilizzato, diventa grasso; se il cervello non viene utilizzato, la creatività, le capacità critiche e mentali divengono sterili e vengono dirette ad attività secondarie, come lo sport e la moda.

Dunque, “istituzioni gerarchiche incoraggiano coloro che ne prendono parte a relazioni di alienazione e sfruttamento, limitando le persone e allontanandole dalla loro realtà. Le gerarchie rendono alcune persone dipendenti da altre, sminuiscono il dipendente a causa della sua dipendenza, e quindi usano la dipendenza come giustificazione per ulteriori esercizi di autorità…. Chi è in posizione di relativo dominio tende a definire le principali caratteristiche di chi gli è subordinato…. Gli anarchici sostengono che ritrovarsi sempre nella situazione di esser fatti agire e mai di esser lasciati agire è condannarsi ad uno stato di dipendenza e rassegnazione. Coloro che ricevono ordini in continuazione e sono esentati dal pensare per sé stessi presto arrivano a dubitare delle loro capacità… [ed hanno] difficoltà ad agire secondo la [loro] spontaneità opponendosi alla norma, alle regole ed alle aspettative  della società." [Martha Ackelsberg, Free Women of Spain, pp. 19-20]

Quindi, con l’espressione di Colin Ward, il “sistema produce i suoi idioti, e poi li disprezza per la loro inettitudine, ricompensando quei ‘pochi talenti’ per la loro rarità.” [Op. Cit., p. 43]

In aggiunta a questi effetti psicologici negativi derivanti dall’assenza di libertà, le relazioni sociali autoritarie producono anche l’ineguaglianza sociale. Questo perché  un individuo soggetto all’autorità di un altro deve obbedire agli ordini di quelli sopra di loro nella gerarchia sociale. Questo significa che nel capitalismo i lavoratori devono seguire gli ordini del capo (vedi la prossima sezione), ordini che son destinati a  rendere il capo ancora più più ricco (per fare un esempio, solo dal 1994 al 1995 lo stipendio di un CEO negli USA è salito del 16%, accanto al 2,8% dei lavoratori, che non hanno neppure avuto pace a causa dell’inflazione, ed i cui salari stagnanti non posson certo esser paragonati ai profitti corporativi, che raggiunsero un buon 14,8% in quell’anno). L’ineguaglianza in termini di potere si trasformerà in ineguaglianza in termini di ricchezza (e vice versa). Gli effetti di una tale ineguaglianza sociale sono vastissimi.

Per esempio, per la gente povera è più facile morire di mallattia in giovane età, se paragonata alla gente ricca. Oltre a ciò, anche il grado di disuguaglianza è importante  (per esempio la quantità di divergenza fra ricco e povero). Come spiega un articolo del British Medical Journal “ciò che determina la mortalità e la salute in una società non è tanto la ricchezza totale di quella società quanto il modo in cui la ricchezza è distribuita. Più egualmente è distribuita la ricchezza e più alto sarà il grado di salute della società”  [Vol. 312, April 20, 1996, p. 985]

Ricerche negli USA confermano quest’evidenza in modo allarmante. George Kaplan ed i suoi colleghi calcolarono il livello di disuguaglianza dei 50 stati americani e lo paragonarono con il tasso di mortalità relativo all’età per tutti i tipi di morte, ed emerse un nesso: maggiore era la disuguaglianza nella distribuzione delle intrate, maggiore era il tasso di mortalità. In altre parole, è il divario fra ricco e povero, e non l’alto introito di uno stato, che predice meglio il tasso di mortalità. ["Inequality in income and mortality in the United States: analysis of mortality and potential pathways," British Medical Journal Vol. 312, April 20, 1996, pp. 999-1003]

Il divario crescente fra ricco e povero non è stato voluto da Dio, dalla natura o da qualche altra forza sovrumana. E’ stato creato da un sistema sociale preciso, dalle sue istituzioni ed attività – un sistema basato su relazioni sociali autoritarie che ci condizionano sia fisicamente che mentalmente.

Tutto questo non vuol dire però che chi sta sotto nella gerarchia è la vittima e chi sta in cima ottiene solo benefici – tutt’altro. Chi sta in basso deve costantemente resistere agli effetti negativi della gerarchia e creare forme di vita e di lotta non-gerarchiche. Questo continuo processo di autonomia e autoliberazione può esser visto nei movimenti per il lavoro, delle donne, ed altri – nei quali, in una certa misura, le persone creano alternative personali basandosi sui loro sogni e le loro speranze. L’anarchismo si fonda, e cresce, con questo movimento di resistenza, speranza e azione diretta.

Se ci volgiamo a quelli che stanno in cima al sistema invece, si, stanno molto bene in termini di beni materiali e possibilità di avere un’educazione, tempo libero, salute e così via, ma rischiano di perdere la loro umanità ed individualità. Come faceva notare Bakunin, “il potere e l’autorità corrompono tanto chi le esercita quanto chi viene costretto a sottomettersi a loro.” [The Political Philosophy of Bakunin, p. 249] Il potere agisce distruttivamente, persino su chi lo possiede, restringendo la sua individualità mentre “li rende stupidi e bruti, anche con chi era originariamente dotato dei migliori talenti. Uno che deve costantemente sforzarsi di costringere ognuno ad un ordine meccanico alla fine diviene una macchina egli stesso e perde ogni sentimento umano.” [Rudolf Rocker, Anarcho-Syndicalism, p. 22]

Quando ciò si realizza, la gerarchia diventa auto-distruttrice, perché se “la ricchezza sono le altre persone”, allora trattando gli altri come inferiori, ostacolando la loro crescita, perdi tutta la potenziale intelligenza ed abilità che questi individui avevano, e così impoverisci la tua stessa vita e ostacoli la tua stessa crescita.  Sfortunatamente di questi tempi la ricchezza materiale (una forma particolarmente limitata di “interesse personale”) ha sostituito l’interesse per lo sviluppo della persona nella sua interezza e per il raggiungimento di una vita piena e creativa (un interesse essenziale, che inserisce l’individuo nella società, che riconosce nelle relazioni con gli altri la formazione e lo sviluppo di ogni individuo). In una società gerarchica, di classe chiunque ci perde nella stessa misura, anche quelli “in cima”.

B.1.2 Il capitalismo è gerarchico?

Sì. Nel capitalismo i lavoratori non scambiano i prodotti del loro lavoro ma il lavoro stesso in cambio di denaro. Essi si vendono per un dato periodo di tempo, ed in cambio dello stipendio, promettono di obbedire al loro padrone. Chi paga e da gli ordini – proprietari e manager – sta in cima alla gerarchia, chi obbedisce sta sotto. Questo significa che il capitalismo, per la sua stessa natura, è gerarchico.

Come dice Carole Paterman, “Le capacità e la forza lavoro non possono essere usate senza il ricorso alla volontà, la consapevolezza e l’esperienza del lavoratore, per avere effetto. L’uso della forza lavoro richiede la presenza del suo ‘padrone’, e resta mera potenzialità finché egli non agisce, acconsente o viene costretto ad agire nella maniera necessaria per metterla in funzione; quindi, il lavoratore deve lavorare. Contrattare sull’uso della forza lavoro è uno spreco di energie se essa non può essere usata nel modo che il nuovo padrone richiede. La finzione ‘forza lavoro’ non può essere usata; ciò che viene richiesto è che il lavoratore lavori come gli si domanda. Il contratto d’impiego deve, quindi, creare un rapporto di comando ed obbedienza tra datore di lavoro e lavoratore… In breve, il contratto in cui il lavoratore vende in allegato la sua forza lavoro è un contratto in cui, poiché non può essere separato dalle sue capacità, egli vende il controllo sull’uso del suo corpo e di se stesso. Ottenere il diritto di usare un altro è essere un padrone (civile)” [The Sexual Contract, pp. 150-1 – vedi Proudhon citato sopra]

Questo controllo gerarchico del lavoro salariato ha l’effetto di alienare i lavoratori dal loro stesso lavoro, e dunque da se stessi. I lavoratori non controllano più se stessi durante le ore lavorative e quindi non sono più liberi. Il capitalismo, trattando il lavoro allo stesso modo di tutte le altre merci nega la distinzione chiave che c’è tra il lavoro e tutte le altre “risorse” – e cioè la sua inseparabilità dal suo portatore. Il lavoro, a differenza delle altre “proprietà”, è dotato di volontà e agente. Dunque quando uno dice di vendere il lavoro c’è una necessaria sottomissione della volontà (gerarchia). Come scrive Karl Polanyi:

    “Lavoro è solo un altro nome per un’attività umana che accompagna la vita stessa, che di conseguenza non è prodotta per esser venduta ma per             ragioni completamente diverse, né tale attività può esser isolata dal resto della vita, contenuta o mobilitata.” [The Great Transformation, p. 72]

In altre parole, il lavoro è ben altro dalla merce alla quale il capitalismo vuole ridurlo. Il lavoro creativo, autonomo è fonte di orgoglio e di gioia, e parte di ciò che significa essere pienamente umano. Strappare dalle mani del lavoratore il controllo del lavoro ferisce profondamente il suo o la sua salute mentale e fisica. Infatti, Proudhon arrivò a dire che le compagnie capitaliste “rapinano i corpi e le anime dei lavoratori salariati” e sono un “oltraggio alla dignità ed alla persona umana”. [Op. Cit., p. 219]

Separare il lavoro dalle altre attività della vita e sottometterlo alle leggi del mercato significa annichilire la sua naturale, organica forma di esistenza – forma che si è evoluta con la razza umana per decine di migliaia di anni di attività economiche co-operative basate sulla condivisione ed il mutuo appoggio – e sostituirla con una forma atomistica ed individualistica basata sul contratto e sulla competizione.

Il rapporto sociale del lavoro salariato, che è di sviluppo molto recente, è quindi chiamato dai capitalisti come una forma di “libertà”, mentre di fatto è una forma di servitù involontaria (vedi la sezione B.4 e A.2.14). Dunque un libertario che non sostiene la libertà economica (autogestione dell’industria, socialismo) non sarà affatto libertario, e non crederà nella libertà.

Quindi il capitalismo è basato sulla gerarchia e sulla negazione della libertà. Presentarlo diversamente significa negare la natura del lavoro salariato. I sostenitori del capitalismo ci provano comunque ma – come fa notare Karl Polanyi – l’idea che il lavoro salariato sia basata su qualche tipo di libertà “naturale” è falsa:

    “Presentare questo [il lavoro salariato] come  un principio di non-interferenza [con la libertà], come vorrebbero i liberali economici, è stata la mera         espressione di un pregiudizio radicato a favore di un definito tipo di interferenza, vale a dire, come se volessero distruggere i rapporti non-contrattuali     fra individui e ostacolare la loro nuova spontanea formazione.” [Op. Cit., p.163]

Questa sostituzione dei rapporti umani con quelli economici porta presto alla sostituzione dei valori umani con valori economici, dandoci un’etica da libretto dei conti, nel quale le persone sono valorizzate secondo quanto guadagnano. Porta anche, come spiega Murray Bookchin, ad una svalutazione dei valori umani:

    “Così profondamente radicata è l’economia di mercato nelle nostre menti che il suo sporco linguaggio ha rimpiazzato le nostre più sante espressioni         morali e spirituali. Ora noi ‘investiamo’ sui nostri figli, matrimoni, e relazioni personali, un termine che è eguagliato a parole come ‘amore’ e ‘affetto’.     Viviamo in un mondo di scambi e chiediamo il ‘massimo profitto’ per ogni ‘transazione’ emotiva. Utilizziamo la terminologia dei contratti piuttosto che     quella delle affinità spirituali e della fiducia.”
[The Modern Crisis, p. 79]

Con i valori umani rimpiazzati dall’etica del calcolo, e con le sole leggi del mercato e dello stato a “legarci” insieme, il collasso sociale è inevitabile. Come spiega Karl Polanyi, “disponendo della forza lavoro di un uomo, il sistema [di mercato], incidentalmente, dispone fisicamente, psicologicamente e moralmente dell’entità ‘uomo’ assegnata a quell’etichetta.” [Op. Cit., p. 73]

Con poca sorpresa il capitalismo moderno ha avuto un incremento massiccio di crimine e disumanizzazione sotto i mercati più liberi stabiliti da governi “conservatori”, quali quello della Thatcher e di Reagan e dei loro transnazionali padroni corporativi. Ora viviamo in una società che vive in fortezze auto-erette, “libere” dietro i loro muri e le loro difese (sia emotive che fisiche).

Naturalmente, alcune persone amano la “etica” matematica. Ma questo è perlopiù perché – come tutti gli dei – da all’adoratore un facile regolamento da seguire. “Cinque è più grande di quattro, quindi cinque è meglio” è abbastanza facile da comprendere. John Steinbeck osservò questo scrivendo:

    “alcuni di loro [i padroni] odiavano la matematica che li guidava [a scacciare i contadini dalla loro terra],  alcuni avevano paura, e altri adoravano la     matematica perché forniva un rifugio dal pensare e provare emozioni” [The Grapes of Wrath, p. 34].

B.1.3 Che tipo di valori gerarchici crea il capitalismo?

Il capitalismo produce una scala di valori perversa – che piazza l’umanità sotto alla proprietà. Come spiega Erich Fromm, “L’uso [lo sfruttamento] dell’uomo sull’uomo è espressivo del sistema di valori soggiacente al sistema capitalistico. Il capitale,  morto passato, impiega il lavoro – la forza vitale e il potere del presente. Nella gerarchia di valori capitalistica il capitale sta più in alto del lavoro, oggetti ammassati stanno più in alto delle manifestazioni di vita. Il capitale impiega il lavoro, e non il lavoro il capitale. La persona che possiede capitale comanda la persona che possiede ‘solo’ la sua vita, il talento umano, e una produttiva creatività. Le ‘cose’ sono più importanti delle persone. Il conflitto fra capitale e lavoro è molto di più del conflitto fra due classi, molto di più della loro battaglia per una maggior fetta del prodotto sociale. E’ il conflitto fra due principi di valori: fra il mondo delle cose, ed il loro accumulo, ed il mondo della vita e della sua produttività.” [The Sane Society, pp. 94-95]

Il capitalismo valorizza una persona solo come la presentazione di un certo ammontare della merce chiamata “forza lavoro”, in altre parole, come una cosa. Invece di esser valorizzato come un individuo – un essere umano unico con valori morali e spirituali intrinseci – solo il proprio prezzo conta.

Questa degradazione dell’individuo sul posto di lavoro, dove viene speso così tanto tempo, colpisce necessariamente l’immagine che una persona ha di sé, e che la porta quindi ad agire diversamente in altri momenti della vita. Se uno al lavoro è considerato come una merce, questi arriva a vedere sé stesso e gli altri allo stesso modo. Dunque tutti i rapporti sociali .. e quindi, in definitiva, tutti gli individui – vengono trasformati. Nel capitalismo, niente è sacro letteralmente – “ogni cosa ha il suo prezzo” – sia essa la dignità, l’auto-stima, l’orgoglio, l’onore – tutto diviene merce da arraffare.

Una tale degradazione porta ad una serie di patologie. Il “consumismo” è un esempio che può essere rintracciato nella mercificazione dell’individuo sotto il capitalismo. Per citare nuovamente Fromm, “le cose non hanno un io, e gli uomini che sono diventati cose [merce nel mercato del lavoro] non possono avere un io.” [The Sane Society, p. 143]

Ora, la gente sente ancora la necessità della personalità, e quindi cerca di riempire la propria vuotezza consumando. L’illusione della felicità, che la propria vita sarà completa se si compra qualcosa di nuovo, porta la gente a consumare. Sfortunatamente, poiché i consumi sono altre cose, non offrono una sostituzione della personalità, e così il consumo ricomincerà di nuovo. Questo processo è incoraggiato, naturalmente, dall’industria della pubblicità, che cerca di convincerci a comprare quello di cui non abbiamo bisogno perché ci renderà popolari/sexy/felici/liberi/etc. (vuoti come è appropriato!). Ma consumare non può soddisfare veramente i bisogni che la merce comprata vorrebbe soddisfare. Queste necessità possono essere soddisfatte solo da interazioni sociali basate su veri valori umani e dal lavoro creativo e autodiretto.

Questo non significa, naturalmente, che gli anarchici e le anarchiche siano contro gli alti standard di vita. Al contrario, riconoscono che la libertà ed una bella vita sono possibili solo quando uno non deve preoccuparsi di avere abbastanza cibo, un alloggio decente, e così via. La libertà e 16 ore di lavoro al giorno non stanno bene insieme, né l’eguaglianza con la povertà o la solidarietà con la fame. Di conseguenza, gli anarchici considerano il consumismo come una distorsione del consumo causata dall’alienante e inumana etica da “libretto acconti” del capitalismo, che distrugge l’individuo e il suo senso di identità, dignità e personalità.