Il Genio di Palermo e il Monte Pellegrino

Le influenze iniziatiche nei due simboli del capoluogo siciliano

di Alberto Samonà



Per tutti i palermitani il Genio della città rappresenta l'identità stessa del popolo nelle sue diverse classi sociali. Tuttavia, è possibile trovare in questa figura dei significati assolutamente originali, che rimandano agli antichi culti pagani, presenti in Sicilia prima dell'affermazione della religione cristiana e praticati, in strette cerchie, anche dopo. Da sempre il Genio è considerato il simbolo di tutti i cittadini di Palermo, indipendentemente dalle loro origini di razza, dal loro credo e dalla loro condizione sociale. Sotto un profilo civico, dunque, questa figura assume un significato universale, perché comune a quanti siano nati in diverse epoche nel capoluogo siciliano. Il Genio, raffigurato in diverse statue, poste tutte in vari luoghi del centro storico di Palermo, è senza dubbio espressivo dell'identità popolare e simbolo di virtù civiche, quali la creatività, l'indipendenza, la libertà e la stessa felicità della gente palermitana: il suo significato sociale, quindi, è quello di un vero e proprio santo protettore laico della città, tanto che nell'immaginario dei palermitani veniva - e viene - spesso contrapposto alla protettrice religiosa di Palermo, Santa Rosalia, e ai simboli propri della spiritualità cristiana. Così è stato quando nel 1596 si decise il taglio a croce del più antico quartiere cittadino, il Cassaro, per celebrare la vocazione cristiana di Palermo: a questo atto il Municipio contrappose il suo nume eterodosso, in modo da creare una convivenza eclettica tra i due aspetti della città, quello cristiano e religioso e quello laico e sociale. 
Tuttavia, il Genio di Palermo, oltre ad assumere questi riferimenti, può anche essere considerato quale espressione di una spiritualità popolare antica, che rimanda anche ad un sapere iniziatico imperniato di influenze pagane, presenti in città ancora nel Rinascimento e nel successivo periodo illuministico. Infatti, un manoscritto anonimo, conservato alla Biblioteca Comunale di Palermo e realizzato nel 1703, presenta il Genio come la raffigurazione di "Saturno, dio della terra e del tempo, padre dei tempi e padre di dèi e uomini". Stando a questa definizione, l'emblema laico della città sarebbe anche il simbolo di un'altra realtà, che trascende le contingenze sociali, per rimandare direttamente al mito. E infatti, secondo Diodoro Siculo, le prime istituzioni siciliane sarebbero state costituite nell'antica "età dell'Oro" proprio ad opera di Saturno, che giunse nell'isola, vi depose la falce della fertilità, fondando Palermo e divenendo suo re. Inoltre, il mito racconta che fu lo stesso Saturno a fondare il "castello di Cronio" sul monte Ercta e Pellegrino e cioè nella montagna da sempre sacra al popolo palermitano e nella quale - non a caso - si trova la "grotta di Santa Rosalia", luogo tuttora oggetto di forte venerazione da parte dei cittadini di ogni ceto sociale. 
Lo stesso manoscritto conservato alla Biblioteca di Palermo riferisce pure che il Genio di Palermo è il simbolo della cosiddetta "anima del mondo", nel significato che veniva dato anticamente di questo concetto. L'identificazione del Genio con l'anima mundi consentirebbe di ritenere questo simbolo, non soltanto come espressione del tempo, ma anche come Colui che, inalterabile, lo muove: il "motore immobile". Per similitudine, accostando il Genio della città a Saturno e definendo quest'ultimo come "padre dei tempi e padre di dèi e uomini", la conclusione è che, secondo l'identificazione originaria, questo simbolo laico delle virtù civiche altro non è se non una raffigurazione del "Padre eterno", della divinità originaria, che trascende la stessa caducità del tempo, per rimandare a una dimensione mitica e atemporale.
Accostamento, che tra le sue fonti può annoverare anche Athanasius Kircher, il gesuita poliglotta che fu a Palermo e Messina verso la seconda metà del '600. Parlando delle divinità primitive, costui fa notare che presso i filosofi platonici Saturno è "la mente suprema in cui risiede la luce universale e la provvidenza di tutte le cose". Anche in questo caso la figura di Saturno è presentata come al vertice della gerarchia spirituale. 
Ma non è tutto, perché la presenza di influenze pagane riscontrabili nel simbolo laico della città di Palermo, è confermata anche dalla frase "suos devorat, alienos nutrit", incisa nella statua del Genio posta all'interno di Palazzo Pretorio, che si trova nel centro storico cittadino. Una frase dal duplice significato: infatti, se l'interpretazione comune e sociale è nel senso che Palermo "divora i suoi figli e nutre gli stranieri", ve ne è un'altra, che rimanda, ancora una volta, al valore 'iniziatico' del tempo e al superamento della dimensione del "divenire", attinente alla realtà 'profana', in una dimensione che oltrepassa la temporalità, per condurre ad uno stato del tempo eterno nel suo essere.
Di questo secondo significato si accenna proprio nel manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo, laddove si afferma che il motto - riferito ad un serpente che succhia il petto del Genio, il quale lo nutre e lo accarezza - significherebbe che "il tempo è divoratore delle cose che a lui soggiacciono ma riverisce il parto straniero e immortale della mente, in modo che le opere degne di eterna vita, non soltanto non vengono divorate dagli anni, ma piuttosto consumano e divorano i secoli quando siano espressione di immortalità e del Divino". Ancora una volta si allude, quindi, a un significato più occulto, certamente distinto dai riferimenti alla tradizione cattolica, perché caratterizzato da quelle influenze iniziatiche da sempre operative a Palermo e che mai hanno cessato di esistere. Questo riferimento alla mente, alla creatività umana, rimanda anche alla dimensione spirituale e non può essere considerato estraneo neppure al nascere e al successivo svolgersi dell'esperienza massonica siciliana, che nella centralità dell'uomo trova la propria naturale espressione e che nel Settecento vide un proliferare in città di una molteplicità di officine. Infatti, proprio il superamento di certe superstizioni locali e la contemporanea esaltazione del significato primigenio dei simboli dell'uomo, costituirono - e costituiscono - il fondamento dei principi massonici universali, che evocano i simboli di una spiritualità anche popolare, ma non per esaltarne la dimensione 'profana' ed elementare, bensì per collocarla in una prospettiva superiore, la prospettiva propria del sapere umano, che cerca nei simboli una chiave per addivenire alla conoscenza di sé e del mondo.
È come se nel capoluogo siciliano la Tradizione si sia conservata nei secoli, mantenendo un forte potere evocativo e rappresentativo presso i cittadini palermitani (spesso inconsapevoli di ciò), ma non perdendo mai il proprio significato originario e spirituale. Significato che si affianca e si sovrappone a quello sociale, secondo la prospettiva di un "laicismo" nuovo, legato a riferimenti simbolici e magici, radicati inconsapevolmente nel popolo e ben chiari ai 'ricercatori di verità'. Come non trovare in ciò una chiara traccia, che sarà la stessa seguita nei tempi successivi dai primi circoli d'ispirazione massonica?
Questi continui riferimenti tradizionali sono riscontrabili anche nel significato che nei secoli i palermitani hanno dato al Monte Pellegrino, la montagna che sovrasta la città. Si è accennato che il mito fa risalire a Saturno la fondazione del "castello di Cronio" alle pendici del Monte; dunque, secondo la leggenda, questa montagna avrebbe addirittura origini divine. È certo, peraltro, che nel periodo precristiano proprio il Monte Pellegrino era considerato un luogo dal forte significato spirituale, rappresentando per tutti una vera e propria montagna sacra. L'idea della sacralità del Pellegrino sarebbe stata particolarmente radicata tra gli abitanti delle comunità che risiedevano nella cosiddetta "Conca d'oro" (la pianura di Palermo), tanto che in epoca punica, all'interno di una grotta situata quasi sulla vetta del Monte venne costruito un altare, dedicato a divinità femminili della fertilità. E non pare un caso che proprio la grotta nella quale venne realizzata questa edicola punica, molti secoli dopo sia diventata il principale luogo di culto del popolo palermitano: quello dedicato alla "Santuzza", Rosalia Sinibaldi, la nobile palermitana vissuta nel XII secolo e dichiarata Santa nel 1629: trasposizione in chiave cristiana della dea dei tempi precedenti.
Peraltro, la grotta che ospitava questo santuario pagano era anche attraversata da una falda acquifera e questo particolare non fece che favorire il convincimento di trovarsi di fronte a un luogo impregnato di spiritualità, anche in ragione della sacralità, attribuita dai pagani al simbolo delle acque. È quasi certo che il culto praticato nella grotta abbia influenzato anche i successivi cristiani, che nel periodo bizantino, all'interno della medesima cavità realizzarono una piccola chiesa con un quadro dedicato alla Madonna: costruzione, addossata proprio all'originaria edicola punica. 
Il Monte Pellegrino venne, dunque, considerato sacro dai palermitani anche dopo la fine del periodo pagano, ma la portata evocativa dei culti precristiani rimase pure in epoca successiva: e infatti, all'interno della stessa grotta sacra le pratiche cultuali proseguirono, pur se nel segno della nuova religione cristiana. Dunque, per gli originari residenti della città e per i primi cristiani la grotta fu il principale luogo di culto della montagna che sovrasta Palermo, ritenuta sacra perché originata da volontà divina. E, a partire dal V secolo d.C., proprio il Monte Pellegrino divenne mèta di decine di eremiti, che scelsero questo luogo isolato come proprio ritiro spirituale. La grotta dentro se stessi - direbbero gli iniziati - in cui chiudersi per ricercare la luce interiore: il v.i.t.r.i.o.l alchemico, tappa iniziale per ogni cammino iniziatico che porti alla conoscenza dell'uomo. 
In epoca medievale era opinione diffusa che la montagna di Palermo fosse un luogo propizio per l'illuminazione spirituale, perché -si diceva- conservava un significato sacro, che avrebbe facilitato la conquista della luce. Dunque, appare plausibile che queste idee possano ritenersi come una trasposizione cristiana dell'originario convincimento, secondo cui il Pellegrino sarebbe stato un vero e proprio centro spirituale: un monte sacro, perché prescelto addirittura da un dio, Saturno, come luogo per la propria dimora: un luogo non votato soltanto al culto della Dea, ma in cui l'influenza della Luce fosse ben chiara, in un binomio tra l'elemento Terra e il Fuoco, attraverso il quale la dimensione tellurica fosse semmai strumento per raggiungere più altri traguardi spirituali. Il monte di Palermo, dunque, come axis mundi, ponte che unisce la realtà terrestre e umana con il Divino. 
E nei secoli il fenomeno dell'eremitaggio sul Monte divenne particolarmente diffuso, tanto che nel 1162 il Pellegrino fu scelto da Rosalia Sinibaldi come luogo in cui vivere la propria solitudine in preghiera: e la giovane, che successivamente sarebbe divenuta la santa patrona di Palermo, scelse come proprio ritiro la stessa grotta che era stata cara sia ai pagani che ai primi cristiani. Inoltre, proprio all'interno della grotta dove visse e morì Santa Rosalia, nel 1624 vennero rinvenute le sue ossa: a quel tempo Palermo era infestata dalla peste e si decise di portare le ossa di Rosalia in processione per le vie cittadine, perché già allora la nobile palermitana era venerata in tutte le classi sociali. Quell'atto diede gli effetti sperati, perché i compilatori dell'epoca riferiscono che la peste cessò immediatamente dopo che erano state portate in processione le reliquie della giovane, che dopo tre anni fu ufficialmente dichiarata santa e divenne la protettrice della città. Da allora la grotta del Pellegrino è stata ribattezzata "grotta di Santa Rosalia" e da secoli è considerata il luogo più sacro di Palermo, tanto che, anche ai giorni nostri, in occasione della Festa della Patrona migliaia di palermitani la raggiungono a piedi, attraverso il vecchio sentiero che dalle pendici del Pellegrino giunge alla sua vetta. 

Dunque, se da un lato a Palermo il simbolo civico e laico (Genio) si contrappone a quello mistico e religioso (Rosalia), dall'altro si può affermare che entrambi siano influenzati da un "ricordo" popolare e da tradizioni radicate in città fin dai tempi dei primi insediamenti abitativi. Queste influenze si sarebbero mantenute per secoli e avrebbero attraversato gli eventi storici, trasmesse di generazione in generazione in parte inconsapevolmente e in parte in modo cosciente e deliberato. Non si spiegherebbe altrimenti la ricchezza di simboli esoterici che si riscontra all'interno della "Villa Giulia", il più antico giardino palermitano, suddiviso nei quattro punti cardinali e con i suoi sentieri squadrati, che rimandano al simbolico "viaggio mistico" degli alchimisti, che è poi lo stesso viaggio simbolico percorso dai massoni nel loro itinerario iniziatico. Villa, al centro della quale è posta proprio una statua del Genio di Palermo, in un dodecaedro sorretto da un putto, su cui il sole segna il tempo. Dodecaedro, che dagli studiosi di simbologia antica è considerato come espressione della "Quinta essenza", e che non a caso in questa composizione risulta essere sormontato dal Genio, protettore della società cittadina e "Padre di dèi e uomini", che si trova laddove s'intersecano queste vie: non solo nume laico della città, ma espressione visibile e catalizzatore energetico del Divino, dell'Uno. Con tale accostamento, si può di certo ritenere che l'essenza invisibile e 'misterica' della città e dei suoi abitanti è costituita proprio dal viaggio che dalle periferie della percezione umana conduce al centro di se stesso, ove risiede l'Intelletto dell'Uomo, il Lume divino, il Genio. È solo allora che la pietra grezza che nasce dalla terra e nella terra si nutre, diventa la pietra squadrata e perfetta del Maestro.


tratto da HIRAM 1/2002


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