sacrificio

In tutte le oscure giungle del mondo, abbondano non soltanto terribili vicende di animali che si sbranano, ma anche riti umani di antropofagia, i quali vogliono rappresentare - con la forza di uno shock - l'uccisione, l'atto sessuale ed il pasto delle origini.
Sir James G. Frazer ha mostrato, ne Il ramo d'oro, che nelle prime città-stato del Vicino Oriente, da cui sono derivate tutte le civiltà più avanzate del mondo, i re-dei venivanosacrificati in modo simile a questo rito della giungla, e gli scavi di Sir Leonard Woolley delle tombe reali di Ur, nelle quali venivano seppellite vive intere corti, hanno rivelato che tra i Sumeri queste pratiche continuarono fin verso il 2350 a.C..
In India, nel XVI sec. d.C., alcuni re si tagliavano a pezzi ritualmente. Nei templi della dea nera Kali, divinità dai molti nomi, *difficile da avvicinare* (durgā), il cui stomaco è un vuoto impossibile da colmare ed il cui ventre fa nascere tutte le cose, un fiume di sangue ha continuato a scorrere per millenni uscendo dalle vittime decapitate e percorrendo canaletti piegati in modo da riportarlo, ancora fresco, alla sua fonte divina. Ancora oggi sette od ottocento capre vengono sacrificate in tre giorni nel Kalighat, il tempio principale della dea a Calcutta, durante la festa d'autunno, il Durga Puja. Le teste vengono ammucchiate davanti alla sua immagine mentre i corpi vengono consumati dai devoti in un rito di comunione. Analogamente vengono immolati bufali, pecore, maiali e galline, e, prima della proibizione dei sacrifici umani nel 1835, la dea riceveva da ogni parte del paese vittime ancor più importanti. Nel tempio di Shiva a Tanjore un ragazzo veniva decapitato davanti all'altare ogni venerdì nella sacra ora del crepuscolo. Nell'anno 1830, un modesto monarca di Bastar, desiderando la protezione della dea, offrì in un'occasione venticinque uomini davanti all'altare di Danteshvari e, nel XVI sec., un re di Cooch Behar ne immolò centocinquanta nello stesso luogo. Sulle colline Jaintia dell'Assam, una casa reale aveva l'abitudine di offrire una vittima ogni anno al Durga Puja. La persona sacrificata, dopo essersi lavata e purificata, indossava vesti nuove, si dipingeva di rosso, si metteva ghirlande e si sistemava su una pedana davanti all'immagine della dea, dove trascorreva un pò di tempo in meditazione, ripetendo formule sacre; quando infine era pronta, faceva un segno con un dito. L'esecutore, pronunciando anche lui sillabe sacre, sollevava la spada e quindi tagliava la testa alla vittima, che veniva subito presentata alla dea su un piatto d'oro. I suoi polmoni, dopo essere stati cotti, venivano consumati dagli yogi, e la famiglia reale mangiava un pò di riso inzuppato nel sangue sacrificale. Le persone che si offrivano in questo sacrificio erano di solito volontari, ma quando questi mancavano le vittime venivano rapite oltre i confini del piccolo stato; così accadde, nel 1832, che quattro uomini scomparvero dal territorio governato dalla Gran Bretagna: uno di loro riuscì a scappare ed a raccontare la sua storia, l'anno seguente il regno fu annesso al dominio britannico, senza quell'usanza.

Un sacrificio umano ben eseuguito appaga la dea per mille anni.

leggiamo nel Kālikā Purāna, testo sacro risalente al X sec. d.C.

Un sacrificio di tre uomini la appaga per centomila anni. Shiva, nel suo aspetto terrifico, come consorte della dea, si placa per tremila anni con un'offerta di carne umana (...) il sangue, se viene immediatamente consacrato, diventa ambrosia (...) poichè la testa ed il corpo sono assai importanti (...) dovrebbero essere offerti alla dea. I fedeli dovrebbero aggiungere tale carne, priva di peli, alle loro offerte di cibo.

In una dimensione d'innocenza, in cui questi riti possono essere eseguiti in perfetta buonafede, sia la vittima che il sacerdote sacrificatore sono in grado di identificare se stessi e la loro realtà nel principio immanente al tutto. Essi possono veramente dire e sentire, secondo le parole della Bhagavad Gītā:

Come ci si disfa di vestiti logori per indossarne di nuovi, così l'abitante nel corpo si disfa del vecchio corpo per indossarne uno nuovo.


Bibliografia:
Joseph Campbell, Mitologia orientale - Mondadori


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