bardo

Dal punto di vista buddhista, l'uomo come individuo non costituisce una vera unità, è un aggegato di stati, di coscienze e di elementi. Ciò che, come "vita", generalmente preesiste alla nascita e si continua dopo la morte non è un "Io" bensì la forza centrale che ha determinato un simile aggregato e che, dopo che questo con la morte si dissolve, andrà a determinarne di nuovi, secondo le cause immanenti destate nella precedente esistenza od in essa esaurite. Tale forza la si potrebbe chiamare l'"Io samsârico" se questa non fosse quasi una contradizione in termini. A tale riguardo, il buddhismo usa il termine santâna, che vuol dire corrente, flusso, concatenazione di stati. Non si tratta nè del principio trascendente shivaico, perchè esso qui è travolto e quasi sommerso dalla Shakti quale "desiderio", quale forza cieca ed irrazionale assetata di vita ed estroversa, e non si tratta nemmeno dell'Io individuale cui l'uomo comune può riferirsi, questo riguardando soltanto una sezione o tratto di tale flusso, condizionato dalla contingente unità di un dato aggregato. Tuttavia questo Io effimero è il riflesso d'una forma eterna che è il suo "Nome" e che gli preesiste sul piano supertemporale. Alla morte, il riflesso viene riassorbito, come nel sonno prolungato la coscienza normale è riassorbita e scompare. Solamente chi è divenuto un "Vivente", chi ha conseguito il Risveglio, assume, morendo, quella forma e realizza il suo Nome; egli viene inscritto nel "Libro dell'Eterno" o, come si diceva nell'antico Egitto, nell'"Albero della Vita".
Con la morte, dunque, l'aggregato si dissolve, l'un essere da luogo a vari esseri ("nutre" vari esseri), a varie coscienze che vanno a seguire ognuna la propria legge. Resta la forza centrale aggregatrice, capace di ripullulare, di rimanifestarsi in questo o quel piano di esistenza condizionata: non necessariamente di nuovo nel piano umano e terrestre. In particolare è possibile che le componenti dissociate d'ordine vitale più in basso si ridissolvano in ceppi manifestantisi anche in specie animali - questo essendo il vero senso dell'insegnamento dato nella forma simbolico-popolare di "rinascite animali".
Nel caso di persone datesi alle discipline iniziatiche o che circostanze specialissime abbiano condotto ad analoghe "aperture", le cose vanno in modo diverso perchè in loro non agisce e sopravvive soltanto la forza samsârica da noi detta "aggregatrice" ma è anche presente un vero Io sotto le specie di un principio extrasamsârico che mantiene una sua forma, anche se staccata da tutti quegli elementi psichici e sottili che si riferivano esclusivamente alla condizione umana. A tale Io resta un margine di libertà, una virtuale indeterminazione rispetto alle leggi karmiche.

La parola tibetana bardo si compone di bar, che vuol dire "fra", e do, "due" tanto da significare "fra i due". E' stata prevalentemente tradotta con "stato intermedio", nel senso di stato posto fra l'una "vita" e l'altra. Ma il significato principale ci sembra invece essere "stato fra i due" nel senso di stato incerto, di stato non ancora univocamente determinato, quasi di "bivio". L'insegnamento in parola si basa dunque sull'indeterminazione che gli stati postumi e lo stesso punto della morte offrono a chi, avendo seguito in vita una disciplina spirituale, eviti o superi la crisi-deliquio inerente al cambiamento di stato. Costui può intervenire. Egli può guidare il proprio destino. E se le sue forze non dovessero essere sufficienti per fargli realizzare subitamente la suprema liberazione, gli sono indicati i mezzi per scegliersi una sua nuova manifestazione nel mondo condizionato e per evitare il peggio.
Dai testi vengono soprattutto considerati tre bardo - tre piani di indeterminazione, corrispondenti ad altrettanti bivi o punti di svolta ed a sedi gerarchicamente ordinate: il chikhai-bardo, il chönyid-bardo ed il sidpa-bardo. Sono tre livelli, ad ognuno dei quali si presentano dunque delle porte, in serie. Chi non riesce al livello del primo bardo ha ancora la possibilità di riprendersi al livello del secondo bardo; se anche in questo la prova fallisce si offrono le possibilità del terzo bardo, riguardanti manifestazioni in forme più condizionate. E' possibile che anche al livello del terzo bardo l'azione fallisca; questo è il caso quando i residui samsârici mantengono una forza tale da neutralizzare le iniziative del principio-Io. Allora il processo si svolge come per un pashu, per un essere comune. Non vi è più da parlare d'una vera continuità, la morte non ha ridestato un "Vivente", è semplicemente la forza samsârica aggregante ad agire secondo l'accennato meccanismo di cause ed effetti, nel segno del desiderio, della "sete", fino a generare un nuovo fantasma di vita individuale.
Non vi è differenza fra l'Io ed il Principio, l'uomo nella sua essenza è il Principio, ma non sa di esserlo. E' libero, quando superando l'"ignoranza" realizza tale identità riconoscendo l'illusorietà metafisica di tutto ciò che presenta i tratti d'un "altro". Tale conoscenza consuma ogni vincolo e distrugge ogni spettro oltremondano.

L'animo non deve vacillare; non si deve lasciare che la mente vaghi nemmeno per un istante. Recidere in pari tempo ogni attaccamento, spegnere ogni odio. Più che l'suo di immagini religiose, nel cambiamento di stato sarebbe d'importanza capitale rievocare ciò che nella vita si è realizzato di là dalla vita e tenersi fermi in tale ricordo, avendo nel contempo presente gli insegnamenti circa la fenomenologia dell'oltretomba. Una suprema presenza a se stessi è dunque necessaria in questo punto, il più importante di tutta una vita.

Per prima, si estinguerebbe, la coscienza visiva, poi l'olfattiva, poi la gustativa, poi la tattile, poi l'uditiva.

E' possibile che il passaggio attraverso gli elementi non sia privo di relazione con i cakra più bassi.

Il morente percepirebbe esteriormente una luce prima biancastra, simile al chiarore lunare, poi rossiccia. Interiormente verrebbe sperimentata invece una specie di "fumo" (che oscura la mente). E' questo il punto della crisi. La supera chi, grazie alla disciplina yoghica a cui si era già dedicato, in quel punto riesce a mantenere "libero da formazioni mentali lo spirito"; allora "le esperienze di questo processo, appena si producono, si sciolgono nello stato naturale di calma". Costui può dunque giungere senza discontinuità al punto culminante, che è quello del folgorare della luce trascendente messa a nudo dal dissolversi della concrezione fisica individuale a distacco completo (ciò avverrebbe tre giorni e mezzo o quattro giorni dopo la morte). Negli altri, interverrebbe invece una parentesi di deliquio, di incoscienza, dalla quale ci si riprenderebbe soltanto dopo questo periodo; periodo, che è anche quello in cui le componenti e le "coscienze" secondarie dell'essere umano si rendono gradatamente autonome e seguono una loro via, finendo spesso in quella zona di "influenze erranti", serbatoio di forze sub-personali, inferiori o residuali, che sono essenzialmente esse a dar luogo alla fenomenologia "spiritista" e medianica. Per un certo periodo può sussistere anche una forma relativamente unitaria che è una specie di doppio, di immagine spenta ed automatica del defunto; è come un secondo cadavere - cadavere psichico - che egli ha lasciato dietro di sè.
Dopo il tramortimento, la coscienza si ridesterebbe in uno stato di lucidità sovrannaturale ed avrebbe l'esperienza decisiva, quella del manifestarsi della luce assoluta primordiale come una folgorazione. E' la prova. L'Io dovrebbe vincere ogni terrore ed essere capace d'identificarsi con questa luce, di riconoscersi in essa perchè può dirsi che metafisicamente essa è la sua stessa natura. Essere capaci di ciò, significa conseguire in un attimo la Grande Liberazione, realizzare l'incondizionato. Ogni karma, ogni residuo è distrutto. Dovrebbe essere come l'incontro "di un'antica conoscenza". L'effetto viene riferito all'unirsi di una sola cosa - "come l'acqua di un fiume si congiunge con quella del mare" - di ciò che s'era acquisito e di ciò che non s'era acquisito, l'acquisito essendo la conoscenza, la luce che si era già raggiunta in vita, il non-acquisito la totalità di essa, che ora si manifesta.

Ma questa prova può anche non venir superata, si può essere terrorizzati, si può non avere l'intrepidezza, lo slancio quasi sacrificale, la lucidità necessaria per l'identificazione fulminea e per la completa, istantanea arsione del velo dell'avidyâ, dell'ignoranza trascendentale. Allora, con questa prova, si è mancata la prima , più alta possibilità oltremondana, si scende di un gradino, si passa dal chikhai-bardo al chöniyd-bardo, si passa a piani nei quali al morto si presentano analoghe alternative, con la differenza che ora non si tratta più di esperienze libere dalla forma. Si dirompe invece un mondo fantasmagorico di visioni e di apparizioni avente un carattere simile al sogno. Esso sarebbe generato da una fantasia passata allo stato libero, non più soggetta al controllo dei sensi, che pertanto acquista, potenziati, i caratteri di quella che abbiamo chiamato l'immaginazione magica. Con una veemenza elementare essa è portata a generare simili visioni per proiezione ed esteriorizzazione di contenuti della coscienza e della subcoscienza, e d i forze già chiuse nella parte occulta, sotterranea dell'essere umano. Questo è il piano, anche, di una possibile liberazione per coloro che non concepirono l'incondizionato nella sua nuda purezza metafisica bensì sotto la specie di una qualche figura divina, di un simbolo, di un'immagine culturale. Qui ciò che decide è la capacità di superare il miraggio e di giungere ad uno stato di identificazione con un simile mondo fantasmagorico. E' una prova che ha due gradi.
In principio cessa dunque di apparire nella sua natura libera da forma e folgorante e si sensibilizza sotto le specie di varie figure divine maestose e splendenti che si presentano in serie, in sette giorni - il giorno avendo evidentemente un significato simbolico, un giorno potrebbe comprendere intere epoche dei mortali qualora una correlazione temporale potesse venir stabilita. Non superata l'una apparizione, nel giorno successivo si presenta l'altra. Superare significa identificarsi. Qualunque cosa appaia, essa va conosciuta come un riflesso.
E' importante il riconoscimento che dal momento che le proiezioni utilizzano immagini latenti della coscienza profonda del trapassato, sarà naturale il presentarsi di figure e di scenari corrispondenti a quelli della sua fede e della sua tradizione. Nel secondo bardo il buddhista, il cristiano, il maomettano, lo sciamano, etc. vedranno ognuno gli iddii, i paradisi e gli inferni della rispettiva credenza e così cadono vittime dell'illusione, perchè il compito è appunto superare la particolarità e l'esteriorità di queste forme proiettate, nello stato di assoluta autoidentità dell'essere reintegrato. A tale riguardo si parla senz'altro nei "sette gradi dell'imboscata". L'imboscata è costituita appunto dall'apparenza oggettiva di tutte queste divinità, generata soltanto dall'impotenza e dalla limitazione interna, dall"'ignoranza" del morto non completamente superata ed agente, qui, in modo magico. Vengono indicati i "residui" che, dinanzi a ciascuna di quelle figure divine, in ognuno dei "giorni" fanno nascere la paura ed allontanano da esse - ossia da se stessi.

Non superando la prova costituita dal mondo divino calmo e radioso, il panorama, quasi per una mutazione caleidoscopica, si trasforma. Come se la stessa paura si proiettasse ed oggettivasse nelle figure divine, alle divinità calme e luminose subentrano divinità terrifiche, irate, distruttive, scatenate - in realtà sono le stesse di prima, con tratti mutati, in loro altri aspetti. Si ripresenta la prova dell'identificazione che, naturalmente, qui è più difficile superare. A tanto, occorrerebbe aver praticato in vita, su una linea più o meno dionisiaca, proprio il culto di divinità del genere; solo allora si potranno "svestire" tali divinità ed in esse si potrà realizzare l'integrazione di stati spirituali già conosciuti nelle culminazioni di pratiche e riti terreni. Altrimenti si darà involontariamente indietro, si "fuggirà".
A questo livello, ed ancor più al livello successivo, a quello del sidpa-bardo, la maggiore difficoltà sarebbe dovuta al fatto che le forze e le tendenze sopravviventi alla dissoluzione dell'aggregato umano e, per così dire, portate appresso, agiscono in modo automatico, quasi "fatale". A partire da questa fase, viene detto che gli impulsi atti a sviare essendo assai potenti, questo è il momento in cui è quanto mai necessario ricordarsi gli insegnamenti contenuti nel Bardo Thödol. Il superamento della prova al secondo livello porterebbe al "trasferimento" in uno dei "portatori del vajra", l'assegnazione ad uno dei regni delle forme pure che attraverso la figurazione dei cosidetti Dhyâni-Buddha, hanno relazione con gli stati spirituali realizzati nell'una o nell'altra fase del dhyâna yoghico. Si tratta delle regioni gerarchicamente più alte del mondo manifestato, chiamate in tibetano og-min (in sanscrito: anishta-loka), ossia "non più caduta" = sedi da cui non si cade più. Per queste sedi varrebbe la legge, che "coloro che hanno lo stesso grado di conoscenza e di sviluppo spirituale si vedranno reciprocamente" (Tibetan Yoga, p. 240) mentre gradi diversi renderebbero gli uni invisibili agli altri.
L'ordine delle apparizioni va dunque dall'assoluto al relativo dall'immediato al mediato, dall'informale al formale. E' soltanto l'atteggiamento dell'Io a produrre le trasformazioni ed i trapassi dei contenuti dell'esperienza. Le divinità irate e scatenate non riflettono ed oggettivizzano che la stessa paura dell'anima nella sua incapacità d'identificarsi con quelle radiose e maestose. A meno che con un'azione energica od in base alle inclinazioni acquisite od alimentate in vita seguendo culti di divinità scatenate dionisiache e distruttrici si sia da tanto da assumere la persona degli dei della nuova esperienza, il terrore, che essi riflettono, genererà nuovo terrore, si sarà spinti ad una fuga, con il che anche le possibilità del secondo bivio o bardo si esauriscono.
Subentra il terzo bardo, il sidpa-bardo, cioè quello delle "alternative riguardanti una nascita". Ormai l'indeterminazione non riguarda più che il passare ad una data "nascita" samsârica anzichè ad un'altra. In chi non abbia superato nemmeno la prova del secondo bardo la bilancia si è inclinata dalla parte delle forme più condizionate: l'ente samsârico fatto di desiderio, assetato di vita, si è dimostrato più forte del principio shivaico. Questo terzo bardo è caratterizzato in primo luogo da un potenziamento della fenomenologia terrifica propria della fase precedente. Ora sono addirittura tormente, nembi, tenebre angosciose, fiamme come di intere giungle incendiate, fragori come di crolli di montagne, folgori, onde tempestose, furie e demoni in atto di perseguitare e di colpire, ma anche gelide solitudini, deserti senza fine, etc. - tutti miraggi, riflessi, spettri, proiezioni allucinatorie create dai moti stessi dello spirito o dal giuoco delle forze karmiche che hanno preso la mano e che per tal via cercano di condurre il principio cosciente, ingannato e terrorizzato da tale fantasmagoria da incubo, nella direzione di una data sede. Il processo si svolgerebbe così che una data matrice si presenta come un rifugio in questa vicenda angosciosa, per cui lo spirito insciente ed incapace di autodominio viene giocato e vi finisce dentro senza rendersene conto. Si parla di tre precipizi invisibili che si spalancano dinanzi a chi fugge, l'uno bianco, l'altro rosso, il terzo nero, corrispondenti a tre specie di "nascite", ossia a tre forme di manifestazione inferiore samsârica.
La seconda caratteristica di questo terzo bardo sarebbe l'affacciarsi della sensazione di esser morto, unitamente al desiderio veemente di nuova vita - per via del ripullulare del germe, la forma cui si è uniti sarebbe ora un "corpo del desiderio" - ed alla percezione di oggetti e di esseri dell'uno o dell'altro piano di esistenza. Il desiderio e le reazioni di fronte alla fantasmagoria terrificante sono i fattori da dominare in quest'ultima serie di esperienze ultraterrene. Qui mente e memoria divengono particolarmente chiar - anche in coloro nei quali erano offuscate ed ottuse - ed il "corpo del desiderio" ha la qualità di un corpo magico nel senso che esso può raggiungere ciò che brama o concepisce. Per azione dell'elemento samsârico possono però presentarsi prospettive ingannatrici, si può, cioè, reputare buono e desiderabile quel che non lo è, e viceversa. Il testo esorta a ricordarsi anche dell'"opposizione", ossia della presenza di forze ostili all'illuminazione, di forze che si potrebbero chiamare di contro-iniziazione, agenti alla radice stessa dell'elemento samsârico, come una specie di demonìa.
Bisogna realizzare che tutte le apparizioni sono soltanto allucinazioni, che, la natura del proprio essere qui essendo il "vuoto", non vi è nulla da temere, non vi è cosa su cui tutte le entità minacciose e le forze scatenate possano far presa. Va pensato che esse tutte sono forme irreali, simili a sogni, ad echi, a miraggi, come le apparizioni create da una qualche magia.

Nei riguardi dell'entrata in una matrice umana, l'insegnamento tibetano ha vedute che quasi vanno incontro a quelle della psicoanalisi freudiana. L'ente del desiderio assetato di nuova vita vedrebbe esseri maschili e femminili in atto di congiungersi. A seconda del sesso che nella precedente esistenza ebbe l'essere da esso creato, sorge, in un tale ente, desiderio per colei che sarà la madre (se fu maschio) ed odio e gelosia per colui che sarà il padre, o viceversa, nel caso dell'altro sesso. Attravers o questi movimenti attrattivi e repulsivi avverrebbe l'incorporazione in un nuovo germe, propriamente con l'identificarsi con l'uomo nell'atto in cui egli possiede e feconda la donna, o viceversa. Si tratta perciò di paralizzare tali moti dell'ente di desiderio. "Mantenendo la mente concentrata in un sol punto", si deve stare in guardia per arrestare ogni sentimento di desiderio o di avversione destato dalla visione sovrasensibile di una coppia, or ora detta. Un altro metodo ha invece la stessa struttura delle contemplazioni precedenti le pratiche sessuali tantriche. Si impedisce il movimento verso una coppia in amplesso col visualizzare l'uomo come la divinità maschile e la donna come la sua Shakti, come la Grande Madre. Ancora un altro metodo consiste in una visualizzazione esorcizzante che ricorda alcune pratiche meditative gesuite. Nello sperimentare lo scatenarsi delle furie, degli elementi, dei demoni si dovrebbe subito visualizzare una delle divinità magiche del proprio culto come un essere perfetto, possente, terrifico per le forze nemiche, tale da dissolvere in un attimo tutti questi spettri.
Sapendo che sedi buone possono apparire indesiderabili e sedi cattive desiderabili, si tratta di paralizzare qualsiasi inclinazione o repulsione, per non lasciarsi prendere al giuoco.
Queste possibilità di padroneggiamento del destino nell'oltretomba implicano la presenza, negli stessi stati dell'aldilà, delle qualità yoghiche della neutralità e del distacco, della fredda e sovrana qualità magica.
Il terzo bardo, terza ed ultima zona d'indeterminazione postuma, rende possibile, se non la liberazione, una certa libertà nel mondo condizionato. Dal grado del "ricordo" che malgrado tutto si è mantenuto dipende una scelta tale da permettere di continuare o completare la "Grande Opera" in una nuova esistenza, come un individuo che si trova già ad avere predisposizioni privilegiate nei termini di quella che abbiamo chiamato la "dignità naturale", con il senso più o meno vivo di un suo background prenatale.
Va considerato a parte il caso di coloro che assumono un corpo e riappaiono nel mondo degli uomini volontariamente, non per aver mancato le occasioni dei tre bardo. Si pensa che a queste "discese" si associ quasi sempre una data missione, visibile od invisibile, Nel caso-limite si ha l'assunzione di un nirmâna-kâya come mâyâvîrûpa o corpo magico.


Bibliografia:
Julius Evola, Lo yoga della potenza - Edizioni Mediterranee

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